Ogni volta che commentiamo la nostra ultima vacanza in un dato luogo di villeggiatura, quando partecipiamo a un forum di appassionati di trekking e suggeriamo un percorso, ogni volta che twittiamo di un vino che ci è piaciuto, di un’auto che ci fa sognare, dei biscotti della mamma che erano più buoni, possiamo essere certi di essere ascoltati. Non soltanto dalle persone a cui ci stiamo rivolgendo, ma da chi crede che ciò che pensiamo sia molto prezioso. Il Web è il territorio nativo di una delle discipline più raffinate e meno conosciute: il listening. Un solo dato: otto milioni di italiani si relazionano con le community legate a brand.
Il Web Listening è il principio, la base del nuovo marketing basato sulle nostre conversazioni. In Italia da pochi anni anche le più importanti società internazionali sono sbarcate con i loro nuovi strumenti, come la Nielsen con DuePuntoZeroResearch (ultima nata in casa Doxa, nel 2010), Buzzdetector, Blogmeter, Reputation Manager. Pur con strumenti e spesso metodologie molto differenti tra loro, sono realtà importanti della Rete, riferimento per le aziende in cerca della pietra filosofale del marketing: conoscere in anticipo la domanda al fine di perfezionare l’offerta.
Come funzionano questi strumenti e cosa comportano? Il concetto di base è che si ascoltano i consumatori senza disturbarli al telefono proponendo irritanti sondaggi, ascoltando invece le loro conversazioni online. Per ottenere questo scopo, queste società hanno prodotto un grande investimento nei motori di ricerca specifici (che hanno dato un impulso positivo alle università e alle startup) molto più raffinati di quelli comuni, capaci di scandagliare blog, forum, tweet, newsgroup, secondo griglie di cui comprensibilmente i proprietari sono molto gelosi e che prevedono la combinazione di pertinenze, ranking e quant’altro può dare una sorta di voto a ogni singolo dato.
Una volta raccolti gli insights si parte con l’analisi, che ha bisogno di una straordinaria esperienza nell’impostazione delle chiavi di ricerca per arrivare al cuore del problema: estrarre il cosidetto sentiment. Questo è l’elemento di valutazione generale, positivo, negativo, neutro, che compone i complessi schemi di analisi che portano, alla fine, a descrivere la reputazione di un marchio, di un soggetto, di un’idea, di un personaggio nella Rete. E questa percezione fornisce elementi utili al cliente per cambiare o mantenere la propria strategia commerciale o di comunicazione.
Insomma, parliamo di vera web economy e di uno dei settori tecnologici più interdisciplinari e per questo interessanti anche dal punto di vista professionale per i neolaureati brillanti in cerca di un lavoro. Psicologia, Sociologia, Linguistica, Ingegneria, Statistica: sono diverse ma complementari le specializzazioni di cui ha bisogno questo settore in crescita, che non possono essere surrogate da motori semantici. Per una ricerca di qualità è ancora necessario l’intervento umano, ed è così importante che – contrariamente a quel che si pensa – le metodologie e le competenze personali sono molto più protette da queste aziende di quelle informatiche.
Non c’è quasi brand italiano di importanza nazionale che non ricorra a questo tipo di analisi prima di lanciare nuovi prodotti o nuove campagne, anche perché in pratica nessuna di loro (o quasi) è in grado di fare da sola. Anche le amministrazioni pubbliche – stimolate da Smart City e dall’agenda digitale – hanno capito che per progettare una digitalizzazione coerente dei propri servizi è prima necessario capire cosa si aspettano i cittadini e come comunicare con loro tramite gli stessi mezzi coi quali vorresti risolvere i loro problemi.
Il valore immediatamente spendibile di questo lavoro ha convinto alcune di queste realtà a fornire di frequente dei report su eventi di stringente attualità, oppure statistiche su settori molto popolari, ad esempio il seguito delle trasmissioni televisive, le automobili, spesso anche eventi di grande impatto emotivo, ormai citati quotidianamente negli spazi di approfondimento e attualità in televisione.