Il corto circuito mediatico è ormai pienamente conosciuto. Per questo, ormai, i soliti attori sanno cavalcarlo con ruoli e responsabilità pienamente riconosciute e complementari. La scintilla è sempre la stessa: un gruppo che nasce su Facebook, portando avanti ideologie prive di senno, al di fuori di ogni morale, svuotate di ogni tipo di raziocinio e colme di meschina provocazione.
A questo punto si muovono i contestatori, quelli che si iscrivono al gruppo per riempirlo di insulti. Regalando così “volume” e nuova eco al gruppo che si vorrebbe contestare.
Poi si muovono i reazionari, quelli che creano il contro-gruppo senza rendersi conto che così facendo alimentano ulteriormente l’eco sul gruppo che si vorrebbe punire.
Ed ecco il grande salto: arrivano i media. Arrivano i giornali, arrivano i giornalisti. Da segnalazione del passaparola si passa al megafono mainstream, così un problema enorme chiuso tra pochi utenti diventa una pubblica indignazione che fa notizia.
Arriva poi il politico di turno. Sale sul palcoscenico dell’indignazione e, guardando il popolo negli occhi, chiede interventi radicali e definitivi contro qualunque cosa sia inerente la scintilla del problema. Il politico, normalmente, trascina sul palcoscenico anche la Giustizia, costringendola all’onere di capire cosa stia succedendo.
Il palcoscenico dell’indignazione è aperto a tutti. Per il contestatore, per il reazionario, per il giornalista, per il politico, per l’inquirente. Ognuno, a modo suo, riuscirà a ricavarsi un po’ di luce della ribalta. Ma tutto ciò ha un clamoroso e pericoloso effetto collaterale: tutti avranno regalato eco e notorietà a quello stupido gruppo che stupide persone hanno pensato bene di portare su di un popolato (ed incolpevole) social network. Sia chiaro, per i più è un atto compiuto in buona fede. L’indignazione è sincera, la reazione è motivata e l’obiettivo è nobile. Ma lo scopo non viene raggiunto, perchè non è creando confusione ulteriore che si arriva ad ottenere il miglior risultato.
Il corto circuito ha preso forma nuovamente nei giorni scorsi. Ancora una volta si parte dalla Sindrome di Down e si arriva ad una sorta di vituperio collettivo in cui son tutti pronti ad indignarsi, senza notare la gratuita pubblicità offerta ad un gruppo che invece andrebbe affossato o ignorato. Tutti pronti, ognuno a modo suo, a cercare autogratificazione per la segnalazione perpetrata, per la reazione partorita, per lo sdegno manifestato.
Sotto il palcoscenico dell’indignazione, per fortuna, ci sono persone intelligenti. Le quali, invece di creare ulteriore bailamme, hanno semplicemente segnalato il gruppo a Facebook. Facebook lo ha semplicemente rimosso. In poche ore tutto si sarebbe risolto, nel silenzio e nell’indifferenza generale. Invece, ancora una volta, troppa gente era già sul palcoscenico a sbraitare. E così, anche quando ormai il caso era di per sé risolto, il palcoscenico era ancora pieno di persone che, prima ancora di gettar luce sul problema, stavano cercando di gettar luce su sé stesse.