Una curiosa analisi MarketWatch ha messo in luce quello che, indubbiamente, è stato il peggiore errore di Steve Jobs nella sua blasonata carriera. Jobs, «l’uomo che cammina sulle acque» (come lo definisce ironicamente Brett Arends nella propria analisi) ha infatti peccato di sfiducia in sé stesso operando una operazione finanziaria di grave impatto sulle proprie future successive. Qualcosa che, oggi, può essere valutato nell’ordine dei 10 miliardi di dollari andati in fumo.
Il problema è nelle stock option, quelle stesse stock option che a distanza di anni hanno portato ulteriori e gravi problemi a Jobs a causa di bilanci mal compilati e questioni legali in seguito sepolte. Tutto risale al Marzo del 2003: l’economia era in ginocchio dopo la tempesta del 2000/2001, lo scoppio della bolla hi-tech aveva portato sfiducia nel comparto e le azioni Apple erano cadute dai 35 dollari del 2000 a 7 dollari di 3 anni dopo. Le stock option in mano ai dipendenti di Cupertino ed al CEO rischiavano di diventare carta straccia e il gruppo non sembrava avere grandi prospettive di fronte. La contestualizzazione del momento è importante poichè motiva le scelte di allora ed offre una timida consolazione Jobs per quel che è successo poi.
Nel 2003 Apple offrì ai dipendenti la possibilità di convertire le proprie stock option, riducendone il numero per salvaguardarne il valore. Anche Steve Jobs si avvalse di questa facoltà, ottenendo conseguentemente un pacchetto azionario da circa 75 milioni che oggi vale la fortuna di 2.5 miliardi di dollari. La crescita di tale valore, però, è dovuta a tutto quel che è successo soltanto in seguito: l’iPod prima, iTunes poi, l’iPhone quindi e l’iPad infine.
Nel 2003 si vociferava di un possibile interessamento di Apple per Vivendi: una voce fuorviante e smentita, che però iniziava ad accostare Cupertino al mondo della musica. Ripartì da lì, infatti, il rilancio del gruppo. Steve Jobs credeva nei propri mezzi, ma non riponeva probabilmente completa fiducia nei propri presupposti rivoluzionari. Se Steve Jobs non avesse proceduto con la riduzione delle azioni, oggi il suo pacchetto azionario avrebbe il valore (calcolato da MarketWatch) di 12.8 miliardi di dollari. Rispetto al valore azionario reale, la differenza è di 10 miliardi di dollari perduti per aver effettuato una mossa finanziaria del tutto logica, conservativa e garante della situazione finanziaria nel contesto in cui la decisione è avvenuta. Una mossa, però, col senno del poi sbagliata.
Oggi Steve Jobs è al 132esimo posto nella classifica Forbes degli uomini più ricchi del mondo. Aggiungendo quei 10 miliardi potenziali, Jobs sarebbe al 32esimo posto. Toh, appena un gradino sopra Steve Ballmer. Ma lo stesso Ballmer, va detto, a suo tempo commise simile errore (pur con effetti deleteri minori in virtù di una minor fluttuazione nei valori azionari MSFT): nel 2003 l’attuale CEO Microsoft vendette oltre l’8% del proprio capitale azionario seguendo la medesima strategia difensiva seguita da Jobs. A distanza di anni per entrambi v’è la consolazione di un capitale di tutta tranquillità e la convinzione per cui tanto Ballmer quanto Jobs passeranno alla storia per il loro impegno nella tecnologia, non certo per il fiuto nella finanza.