Nel momento in cui la crisi economica s’è fatta profonda e la scarsità di risorse ha evidenziato l’impossibilità di trovare soluzioni a buon mercato, l’ammirazione per la tecnologia ha raggiunto vette raramente toccate in precedenza. Da più parti è emersa l’idea per cui l’innovazione può essere il traino che porterà tutti verso la salvezza, ma probabilmente l’entusiasmo ha nascosto i difetti congeniti del sistema. Ecco perché ora, quando in tutto il mondo i governi si stanno preparando ad aprire eccezionalmente il portafoglio per investimenti in grandi reti a banda larga, c’è anche chi interviene nel dibattito per smorzare i termini, abbassare i toni e smussare gli entusiasmi.
Una cosa sembra conclamata: un investimento in nuove tecnologie è destinato ad offrire importanti risultati nel lungo periodo. Anche questo aspetto è stato contestato nel momento in cui Obama ha firmato il proprio piano per la riduzione del digital divide, ma in linea generale l’assunto è dato per assodato. Quel che le amministrazioni centrali auspicano, però, è che tali investimenti possano offrire altresì risultati di breve periodo identificati nell’apertura di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Negli Stati Uniti tale ipotesi si basa su un report con il quale si sono stimati 300 mila posti di lavoro derivanti da un investimento di pochi miliardi in reti a banda larga. Uno dei co-autori del report, però, ora viene allo scoperto con una considerazione in controtendenza: i numeri sono sovrastimati.
La nuova nota di pessimismo è firmata da Robert Crandall, economista della Brookings Institution. Crandall non intende smentire gli studi effettuati originariamente nel 2007 ed anzi ne conferma a tutto campo la bontà. I risultati stessi, però, vanno ora ricontestualizzati al momento attuale, due anni dopo e con una struttura economica del tutto differente. Non solo: gli studi erano stati effettuati su aree metropolitane (Manhattan, 2005), mentre il piano Obama prevede oggi investimenti in aree rurali aventi condizioni di lavoro totalmente differenti. Gli studi alla base del piano Obama, insomma, sarebbero oggi privi di significato e le risultanze degli investimenti profusi potrebbero pertanto essere profondamente sovrastimate. Con una aggravante: il denaro, invece di favorire le imprese private delle zone coinvolte, andrebbe a fluire soprattutto nelle casse della Verizon Communications ed altre grandi aziende del settore.
La critica mossa da Crandall si ferma comunque al ristretto contesto occupazionale. Gli investimenti, infatti, sono comunque destinati a restituire risultati, pur se di difficile valutazione, di sicura positività: aumento dell’alfabetizzazione informatica in zone penalizzate, aumento delle opportunità lavorative, aumento dell’utenza presso cui distribuire servizi tramite broadband. Tutte queste valutazioni potranno essere effettuate solo a posteriori, quando il piano Obama sarà entrato a regime e la banda larga avrà iniziato a far presa anche dove fino ad oggi i carrier non avevano ancora investito a sufficienza.