La Rete italiana vedrà messi entro breve i sigilli al sito della Baia dei pirati. A questo punto è soltanto questione di tempo: la decisione è ufficiale e non serviranno ulteriori procedure, ma soltanto l’applicazione tecnica di quel che è stato stabilito a livello giuridico.
«In Italia, come ricorderete, la battaglia legale è iniziata con il sequestro dell’agosto 2008, successivamente annullato dal Tribunale del Riesame di Bergamo con provvedimento poi, a sua volta, annullato dalla Corte di Cassazione con sentenza del dicembre 2009. Ebbene, il Tribunale del Riesame di Bergamo, cui la Suprema Corte aveva rinviato nuovamente il procedimento, nei giorni scorsi ha rigettato la richiesta di annullamento dell’originario provvedimento di sequestro presentata dai difensori della Baia, aprendo ad un nuovo oscuramento da parte dei provider»: così Ernesto Belisario riassume la vicenda segnalata originariamente da Torrent Freak.
Giovanni Battista Gallus, Giuseppe Campanelli e Francesco Micozzi, gli avvocati che si sono occupati della difesa della Baia sul fronte italiano, non hanno potuto far altro che prendere atto della decisione: anche il secondo appello è stato rigettato ed ora la Rete italiana aggiungerà pertanto The Pirate Bay nella lista nera dei siti per cui vietare l’accesso.
Ancora non è chiaro se verranno portati avanti ulteriori appelli, ma il fermo del sito non è al momento procrastinabile. Al tempo stesso, però, la decisione non è destinata ad arrecare danno particolare, concretizzando così la propria vana applicabilità: l’utilizzo di soluzioni quali OpenDNS, infatti, è misura più che sufficiente per dribblare il filtro ed avere accesso alle risorse cercate. La sentenza, pertanto, è più che altro espressione di un principio, peraltro confermato e riaffermato nei vari appelli presentati.
Nella decisione dello scorso Dicembre la Cassazione fu chiara: «sussistendo gli elementi del reato […] il giudice può disporre il sequestro preventivo del sito web il cui gestore concorra nell’attività penalmente illecita di diffusione nella rete Internet di opere coperte da diritto d’autore, senza averne diritto, richiedendo contestualmente che i provider del servizio di connessione Internet escludano l’accesso al sito al limitato fine di precludere l’attività di illecita diffusione di tali opere». Niente “mere conduit” e nessun’altra limitazione portarono l’esame a stabilire responsabilità differenti, anzi: agli ISP venne offerto un’onere che gli ISP stessi rifiutano esplicitamente da tempo, preferendo una posizione neutra di semplici fornitori di servizio. Dopo l’ultimo appello la situazione non cambia: gli ISP sono ora costretti a porre i propri sigilli virtuali, simbolici ed aggirabili.