In queste ore è oltremodo chiaro un fatto: il silenzio che ha seguito il black-out dei server Aruba è ben più grave del black-out stesso. Configura, infatti, la mancata comprensione di un contesto e la mancata organizzazione delle comunicazioni di fronte ad un evento inatteso. Una lezione da imparare, è del tutto evidente, ma è questa una lezione che avrebbe dovuto essere già stata imparata da un pezzo.
La maggior parte dei tweet che in queste ore imperversano sul caso (#Aruba è il trend più in voga della giornata) è una lamentela precisa sull’assenza di comunicazioni. Nel 2011, infatti, risulta del tutto incomprensibile per un cliente il non poter avere un contatto diretto e “vivo” con l’azienda. Nell’era di Twitter e delle email, sembra a molti paradossale dover cercare informazioni sull’accaduto senza poter far riferimento ad alcunché di diretto, originale, ufficiale. In queste ore si consuma una cesura che l’azienda dovrà saper rimarginare a fatica a posteriori, quando la frittata sarà fatta e bisognerà trovare il modo di smaltire le scorie delle ore passate offline.
Il servizio assistenza non risponde. Il canale @Arubait su Twitter è muto. Le email non vengono evase. Il sito ufficiale non elargisce novità. La situazione vede una ridda di ipotesi che prendono il largo, una vena ironica a smorzare la tensione, e tutto ciò in un crescente disagio che va ad aggiungersi ai problemi noti a tutti.
Il silenzio di Sony è quel che più ha infastidito gli utenti del PlayStation Network dopo l’attacco che ha affossato i server nei mesi scorsi. Il silenzio di Aruba è ora quel che più infastidisce l’utenza nelle ore in cui bisogna dare delle spiegazioni alle proprie community, ai propri clienti, ai propri utenti o ai propri committenti. Nelle ore del black-out ci sono migliaia di aziende ed utenti privi delle loro pagine e delle loro caselle di posta: una spiegazione, o almeno una indicazione parziale sui tempi previsti del recupero, creerebbe una sensazione di coinvolgimento che, quantomeno, potrebbe generare solidarietà nei confronti di un gruppo che nonostante i problemi sta cercando di tenere un atteggiamento trasparente, aperto e limpido.
Il silenzio non è assenza di comunicazione, ma è invece comunicazione di per sé. Comunica però esattamente il messaggio che l’azienda non dovrebbe far trapelare: disorganizzazione, inadeguatezza, sorpresa. Di fronte all’intoppo improvviso è caduta una scure che ha strappato ogni legame con i clienti e tutto ciò proprio nel momento in cui i clienti hanno fatto appello a questo legame per capire come uscire al meglio dalla situazione.
Aruba sta ripristinando siti, server e caselle di posta. Ma sarebbe bastato un vago “stiamo lavorando, daremo nuove informazioni appena possibile” per cambiare in buona parte l’atteggiamento degli utenti nei confronti del gruppo. Sarebbe bastato poco per limitare il danno di immagine e per evitare di aggravare una situazione già evidentemente compromessa. Sarebbe bastato poco, invece non v’è stato nulla. V’è stato il silenzio. Ma il silenzio non accetta né commenti, né condivisioni, né “mi piace”. Piuttosto, attira critiche e malumori. Feroci critiche, urlati malumori.