Un articolo pubblicato su ArsTechnica riporta alcuni dati molto interessanti. Pare che la crisi dell’industria musicale sia in fase di rallentamento. Certamente tra il 2007 e il 2009 ci sono stati ben 33 milioni di acquisti in meno per quanto riguarda CD, ma contemporaneamente si è assistito ad un timido rialzo degli introiti generali. Merito del deciso aumento degli acquisti digitali.
Certamente, nessuno fra le major pensa che i guai siano finiti: in effetti i danni ottenuti dal calo di acquisti in formato fisico non sono stati totalmente attenuati. Ma il dato che colpisce è che, contemporaneamente, si è assistito ad un calo dell’uso del P2P.
L’articolo dà come spiegazione di questo calo il rischio di malware, la bassa qualità dei file, la concorrenza dei servizi streaming e del file sharing attraverso forme alternative al P2P. Infine cita lo stesso successo dei servizi che offrono a bassissimo prezzo download legali.
L’impressione è che, piuttosto, un 6% globale di calo non sia un dato così significativo, a fronte dell’ampliamento delle possibilità che la rete offre ogni nuovo anno. Si stanno, semplicemente realizzando nuovi equilibri, nei quali proprio il filesharing illegale rappresenta l’ago della bilancia. I bassi prezzi dei formati digitali sono in diretta correlazione con la reale portata del P2P: una reale crisi di quest’ultimo, porterebbe, con il tempo, ad un naturale innalzamento dei costi.
Il dato che però salta agli occhi è che non viene sufficientemente messo in risalto il contemporaneo calo della vendita di CD e, non ultimo, che l’uso del P2P confuti l’equazione pirateria-crisi del settore musicale. Di fatto, stiamo semplicemente assistendo da anni ad un ridimensionamento dell’uso del CD, in favore dei formati interamente digitali e questo a prescindere dal tipo di distribuzione adottata. Il P2P ha semplicemente svolto il ruolo di apripista. Questo non vuol dire che i CD spariranno. Gli stessi LP, considerati a torto obsoleti, continuano ad avere la loro ristretta fetta di mercato.