Sempre più spesso si parla di startup di servizi Web 2.0, piccole compagnie che lanciano un servizio e iniziano a svilupparlo con piccoli team, per poi espandere l’attività man mano che la rete inizia a conoscere ed utilizzare quel servizio.
Così succede per quasi tutti i servizi, per chi rimane nella nicchia, ma anche per chi “sfonda” e come nel caso dei famosi social network riesce a creare delle vere e proprie miniere d’oro. L’ultima di queste miniere, giusto per fare un esempio, è Facebook, su cui hanno posizionato gli occhi le più grandi compagnie del mondo, Microsoft per prima. Ma quali sono le fonti di reddito del Web 2.0?
Me ne viene in mente solamente una: la pubblicità. Qualunque servizio o portale che apra al giorno d’oggi sul web sa che dovrà affrontare costi e spese di servizio unicamente grazie alla pubblicità, che rappresenta spesso la sola fonte di reddito e di guadagno; il Web 2.0 vive esclusivamente di pubblicità, nel caso di social network importanti è facile diventare veri e propri “aggregatori” di pubblicità, nel caso di servizi minori non è sempre facile “restare online”, tanto che molte piccole startup falliscono nei loro obiettivi. Sono diverse anche le attività che affidano i propri guadagni a dei servizi come Google AdSense, strumenti che tuttavia, sappiamo bene, non offrono reali certezze, e sono poco consigliabili se rappresentano l’unica fonte di entrate.
In un’evoluzione continua del Web e dei servizi 2.0, deve e può essere davvero solo la pubblicità il motore di tutto? L’idea diffusasi su Internet che qualsiasi servizio debba essere erogato gratuitamente è ormai radicata negli utenti del web, per cui risulta difficile imporre delle tasse di iscrizioni e di utilizzo ai servizi, anche qualora questi siano importanti per l’utente.
Ultimamente il Web 2.0 ricorda molto la prima bolla di Internet, scoppiata all’incirca nel 2000, se un domani la pubblicità dovesse diminuire sul web, se la crescita dovesse invece tramutarsi in calo, quale sarà il destino dei servizi 2.0?