Una delle tendenze del nostro tempo sta nel fatto che ogni cosa può trasformarsi in uno specchio, capace di riflettere la nostra immagine. Questa è la premessa di un ragionamento piuttosto originale sentito oggi all’Internet Festival di Pisa, un panel condotto dal professor Adriano Fabris. Il docente esperto di etica della comunicazione va molto oltre il selfie dello smartphone: le nostre immagini hanno preso vita autonoma.
Il cambio di paradigma reso dalle tecnologie nell’ambito della immagine di sé non è soltanto quantitativa, insomma, ma qualitativa e inversa: le immagini sui social, sui media, sono modelli per il nostro comportamento. Ma chi produce queste immagini? Non è più intermediato come un tempo. Il duplice movimento per cui da una parte sentiamo di doverci rifare ai modelli imposti, ma poi si scopre che chi li sta imponendo sono gli stessi che si fanno influenzare. Lo smartphone, un grande protagonista dell’edizione di quest’anno, produce modelli e copie “a riproducibilità infinita”.
Questa ontologia etica dell’immagine ci aiuta a comprendere che accade qualcosa d’inedito, che trasforma completamente il nostro modo di concepire le immagini e il rapporto con esse:
Ogni cosa nel mondo quotidiano, sembra fatta a nostra immagine e somiglianza. E, viceversa, anche noi tendiamo a uniformarci alle cose, anche noi ci modelliamo su dispositivi che sembrano offrire prestazioni migliori delle nostre. Ciò risulta evidente in particolar modo nei vari ambienti a cui Internet dà l’accesso.
In precedenza l’immagine era solitamente concepita come una copia, che rinviava a un originale. Ora la copia si svincola dal modello e diviene indipendente. Fra modello e copia, cioè, è venuta meno ogni relazione gerarchica. Ambedue stanno sullo stesso piano e possono scambiarsi i ruoli. Di conseguenza, senza più distinzione fra modello e copia, tutto risulta reiterabile e riproducibile, all’infinito. Tutto è modello e copia di se stesso. Tutto risulta sostituibile con tutto, indifferentemente.
Invece di rinunciare allo specchio delle immagini che sono i nostri device e le loro applicazioni, dobbiamo secondo il professore ripensare le immagini stesse su di un piano etico:
Abbiamo bisogno insomma di una rinnovata etica dell’immagine. Dobbiamo riappropriarci del senso della rappresentazione. Dobbiamo cioè capire che, anche se non sempre siamo più i modelli per le varie rappresentazioni, le immagini hanno comunque senso solo per noi, e siamo solo noi che le possiamo valorizzare e decodificare.