Oggi a Milano, alla Camera di Commercio, è stato presentato il progetto LongWave, intento a rappresentare la multiforme realtà delle aziende digitali italiane, che può diventare il motore del Paese. Migliaia e migliaia di piccole aziende che occupano tutti i settori possibili dell’era digitale. È a loro che Assintel ha dedicato una ricerca che ha fotografato quello che può essere definito il made in Italy 2.0.
E-commerce, web application, social media: non fanno parte dell’ICT classicamente inteso ma sono determinanti per l’economia. Subito qualche numero: 230.000 soggetti censiti, di cui 173.000 sono a pieno titolo nuove imprese digitali e si muovono nei servizi Web e mobile, Internet of things, software e Big Data, nuovi media, design, digital entertaintment. Il 58% sono laureati e il 18% dottorati, producono il 3,9% del PIL pari a 54 miliardi all’anno e crescono nonostante la crisi: come numero d’imprese (+9,3% nel triennio nero 2009/12), come addetti totali (+13,7%) e soprattutto come previsioni di fatturato 2013 (in crescita per il 68%).
I dati nel dettaglio
Le imprese digitali sono di fatto delle PMI (per questo qualcuno pensa che dovrebbero adottarsi l’un l’altra nel caso delle startup) con mediamente 17 collaboratori e un fatturato di un milione di euro, ma il 44% si colloca sotto i 100.000 euro l’anno. Il 75% di esso è nel B2B e l’87% è generato in Italia. Nel 2013 le previsioni sono controcorrente rispetto alla crisi del Paese: in crescita nel 68% dei casi e stabili per il 28%.
Il modello organizzato preferito è in due casi su tre quello della Srl, ma spesso anche in questo caso è più “liquido”: il 60% delle imprese è infatti strutturato sul singolo processo/commessa ed è per lo più informale. Protagonista assoluto dell’organizzazione e della comunicazione interna è il web, vera piattaforma di collaborazione per l’85%. Il 33% lo utilizza anche per vendere online.
L’identikit del lavoratore digitale: giovane (67% under 35, che sale al 72% nelle imprese native digitali), maschio (64%), laureato (il 65%) o addirittura con master/dottorato/PHD (12%), con esperienza lavorativa all’estero nel 29% dei casi; il contratto è spesso atipico per oltre un terzo di essi (CoCoPro e Partite IVA). Il cosiddetto posto fisso, a tempo indeterminato, resta predominante solo per le imprese tradizionali IT based, più grandi e organizzate, mentre è rarità per quelle native digitali (solo il 26%). La ragione è che i costi sul lavoro per organizzazioni piccole e liquide sono troppo alti. In esse molto spesso il titolare è factotum e i carichi di lavoro diventano critici.
L’occupazione è in costante crescita: a fine 2012 sono oltre 620.000 gli addetti digitali, in crescita di quasi 75.000 unità (+13,7%) rispetto all’inizio della crisi quattro anni fa. Il dato più interessante è che ad essi si aggiunge oltre un altro terzo di professionisti atipici, cioè oltre 250.000 persone strutturali nei processi produttivi della nuova impresa digitale.
Al primo posto tra le maggiori criticità dichiarate dagli imprenditori c’è il costo del lavoro, l’accesso al credito bancario ma soprattutto i vecchi modelli di offerta finanziaria, e l’ancora scarsa disponibilità in Italia di investimenti privati (una prima risposta potrebbe derivare dal prossimo regolamento della Consob sul crowdfunding). Ci sono poi i problemi di tipo organizzativo: troppo carico di lavoro su poche persone, mancanza sul mercato di competenze tecniche e manageriali adeguate, e parallelamente una scarsa offerta formativa adeguata alle loro esigenze.
(La ricerca è stata svolta nel mese di maggio 2013 per ASSINTEL digitale dallo Studio Giaccardi e Associati e ha elaborato dati provenienti sia da un’indagine desk, sia da un campione di 204 interviste.)