Usciti dal tritatutto di un referendum, una Brexit, l’elezione di Trump e altri esempi ancora, un singolare parallelismo è emerso con sempre maggior evidenza: la definizione di “influenza” nell’orientamento dell’opinione pubblica deve giocoforza trovare nuovi paradigmi poiché, mentre da una parte son venuti a galla voti imprevisti e “di protesta”, dall’altra si è venuto a consumare il sorpasso definitivo dei nuovi media sui vecchi.
Un caso? Non credo! (cit.)
Politica e comunicazioni di massa
Mettere in relazione la situazione politica e le comunicazioni di massa è qualcosa che ha una sua storicità ormai: McLuhan ha reso il legame evidente, quasi trasformandolo in suggestione, nel momento in cui ha interconnesso la storia delle comunicazioni (dalla scrittura al cinema, passando per radio e tv) a quella delle varie forme di governo che hanno nel tempo preso il potere. L’avvento dell’alfabetizzazione prima, la diffusione dei libri poi, l’imporsi della tv, fino a quel post-modernismo di cui McLuhan non ha potuto vedere gli effetti e le derive odierne.
Le teorie di McLuhan riecheggiano in queste settimane rimpallate tra le righe di articoli sul voto e articoli su fake news, bufale ed il crescente ruolo dei social media nei flussi della comunicazione. Fin troppo facilmente, però, le debolezze del determinismo tecnologico hanno preso piede, ignorando la materia oscura che sembra soggiacere alla base di tutto ciò. Sono state le fake news a facilitare l’imporsi di Trump? Sono state le bufale a far vincere il NO? La propaganda online ha favorito la Brexit?
Tutto troppo facile, quindi tutto troppo superficiale: argomenti buoni per una rapida narrazione del momento, ma probabilmente fuorvianti circa quella che è la ricerca della verità.
La mappa dell’influenza
Ogni anno, il WorldPost, l’edizione internazionale del The HuffingtonPost, si unisce con il Gottlieb Duttweiler Institute di Zurigo e il ricercatore Peter Gloor del MIT per misurare quali “pensatori” e piattaforme sono più influenti sull’universo digitale globale.
Così DataMediaHub ha introdotto una mappa di grande interesse relativa all’influenza dei social media: basandosi su dati raccolti nel mondo anglosassone (ma non certo lontani dalla nostra realtà, e sicuramente ricalcanti medesimo trend), la mappa descrive una situazione nella quale «l’influenza di individui che condividono le informazioni sui social media ha superato quella dei media tradizionali». E ancora: «Questo spostamento corrisponde all’inversione della vecchia piramide in cui l’autorità e l’influenza delle élite sia nella società in generale che dei media in modo specifico svolgono la maggior influenza sulla maggioranza della popolazione». I flussi orizzontali hanno definitivamente superato quelli verticali, cambiando così modi, procedure, linguaggi e molto altro ancora. Anzi, modificando forse anche altro al di fuori del mero contesto comunicativo.
Quel che emerge con chiarezza è uno spostamento dell’antico baricentro della fiducia, storicamente incentrato sulle élite e oggi invece girato in senso opposto: «l’85% del pubblico ha bassi livelli di fiducia nei confronti di autorità, élites e le istituzioni pubbliche, ponendo la loro fiducia invece in coloro che sono pari. Il restante 15 % del “pubblico informato” mostra invece un livello molto più elevato di fiducia. Secondo il rapporto di Edelman, il 78% ha fiducia nelle notizie condivise online da conoscenti e familiari mentre quella negli “esperti accademici” è al 65% e addirittura al 44% per i giornalisti.
Il pericolo è però quello di non considerare il giusto ordine consequenziale, girando così la realtà in favore di quella comoda narrazione indicata in precedenza. Insomma: al referendum ha vinto il NO (e negli USA ha vinto Trump) perché i giornali hanno perso influenza, oppure entrambi i fatti sono conseguenza di un terzo fattore che al momento sfugge all’analisi?
Il terzo fattore
Per avere un quadro generale più obiettivo occorre una prospettiva differente, che tenga in considerazione anche altri fattori. Si prendano altre particolari derive che in questi anni hanno preso piede (e si eviti la tentazione di correlarle al mondo politico, pena il rischio di non coglierne l’essenza):
- credere nelle scie chimiche significa non credere nella scienza;
- credere nell’omeopatia significa non credere nella sanità;
- credere nelle ronde significa non credere nelle forze dell’ordine;
- credere nella lettera del genitore che giustifica il figlio che non ha fatto i compiti significa non credere nel ruolo dell’insegnante.
Quel che emerge è un bisogno di una verità alternativa, che sia in grado di completare (se non di sostituire del tutto) quella ufficiale. Quel che emerge è una sfiducia latente nell’autorità e nell’autorevolezza, come a rifiutarne l’istituto. Quel che emerge è il rifiuto quindi dell’istituzione, per la quale si nutre sospetto e distanza.
La verità precostituita non è accettata poiché potenzialmente inquinata, deviata da complotti, scritta da chi potrebbe averlo fatto per interessi terzi. Dove sta la causa di tutto ciò? Non si vuol cadere nella trappola della narrazione semplice e dunque occorre lasciare la domanda aperta.
I politologi potranno intravedere in questa frattura gli indizi di una nuova lotta di classe. I massmediologi potranno tratteggiare in questo atteggiamento le conseguenze dell’abbandono della scrittura lineare in favore dell’imporsi della mente formattata dalla rete globale. I sociologi potranno ipotizzare la caduta delle élite come un ciclo destinato a ribaltarsi rapidamente, generando semplicemente un normale cambio degli equilibri tra le categorie e gli status quo. Gli psicologi potranno identificare la trama di una disgregazione sociale che isola le persone, le quali tendono a fidarsi quindi più di chi è simile che non di chi gode di un qualche privilegio apparente.
Nessuna di queste chiavi di lettura è esaustiva, ma nessuna al tempo stesso è errata. Tutte fanno capo ad un terzo fattore comune che ancora necessita di essere identificato e descritto. Un fattore sottile, latente, che permea la cultura e l’accompagna durante la sua evoluzione.
Capiremo quale rivoluzione abbiamo attraversato soltanto quando questa rivoluzione sarà terminata ed esaurita: capiremo di esserne stati protagonisti o spettatori soltanto quando non saremo più né l’uno, né l’altro. Il terzo fattore è in noi e attorno a noi. In qualche modo siamo proprio noi. Ma non ne siamo pienamente consapevoli.
D’area o di perimetro
Chi legge queste righe non si nasconda dietro un “io non condivido le fake news” o “io non credo nelle cure alternative” perché, quando si vive nello smog, lo si respira tutti assieme. Quando si vive su Facebook si imbattono condivisioni di ogni tipo: si possono ignorare, si può segnalare all’infinito la fake news al diretto interessato, oppure si può pensare ad una soluzione che aggredisca il problema alla radice.
Una possibile soluzione è di perimetro, ed è quella che in molti stanno chiedendo a Facebook: un sistema che consenta di segnalare ad esempio una bufala affinché se ne possa rallentare la diffusione senza criterio. Isolare il focolaio, insomma, per sterilizzarlo. Facebook ha fatto capire che qualcosa lo può forse fare, ma non può certo offrire soluzioni definitive. Chi stabilisce cosa sia vero e cosa no? Chi verifica le segnalazioni? Quali fonti vanno considerate attendibili e quali no? Le zone d’ombra sarebbero moltissime e chiedere a Facebook di fare da vigile è cosa improbabile quando non inopportuna.
Una possibile soluzione d’area, molto più complessa, dovrebbe agire invece proprio sul terzo fattore. Girandoci attorno, almeno inizialmente: promuovendo il senso critico nelle nuove generazioni, instillando quel sano dubbio che dovrebbe portare a pesare i post prima di condividerli, a riflettere sulle cure alternative prima di avventurarsi, a studiare le scie chimiche prima di crederci ciecamente, eccetera. Occorre infondere nelle nuove generazioni i giusti anticorpi, insomma, considerando il terzo fattore come una sorta di virus da debellare.
Non basta l’isolamento, la malattia è diffusa. Non basta urlare all’ignoranza: il virus non è in alcun modo legato a livello di studio o al benessere economico. Non basta additare il colpevole: il riconoscimento dell’autorità è un meccanismo complesso, con il quale si delega il controllo di parte della propria libertà in favore di un beneficio collettivo di ritorno. Non basta urlare all’untore: maggiore è lo scontro tra le parti e minori saranno le possibilità di sradicare false convinzioni per ripristinare un ordine accettabile.
Di fronte abbiamo meccanismi nuovi ed occorre prepararsi singolarmente, ognuno per sé, tutti per uno, uno per tutti. E la medicina migliore, mai come stavolta, pur non conoscendo ancora esattamente il virus da combattere, si chiama consapevolezza.