Ogni anno Bloomberg stila la sua graduatoria dell’innovazione, un indice che considera la concentrazione di imprese high-tech, brevetti e investimenti in ricerca e sviluppo. La Corea del sud si conferma in questa speciale classifica la prima nazione al mondo, il nord Europa subito dietro; l’Italia guadagna due posizioni, salendo al 24° posto. Nulla di sorprendente, ma c’è un dato più interessante degli altri: la produttività e l’occupazione non vanno di pari passo con queste tecnologie, a riprova che qualcosa ancora non torna.
L’Innovation Index disegna una mappa globale che corrisponde solo in parte a quella della potenza demografica, politica e produttiva. Se la Corea del sud è un piccolo stato dell’Asia, gli altri quattro posti successivi sono occupati da stati europei di dimensioni però molto diverse: la Svezia, la Germania, la Svizzera, la Finlandia; poi si torna a oriente con Singapore (6°) e Giappone (7°) di nuovo in Europa con la Danimarca per poi chiudere con gli Stati Uniti e Israele. Si mischiano caratteristiche differenti e a volte contrastanti dove l’Italia, paradossalmente, essendo mediocre in tutto, si piazza onorevolmente classifica, salendo di due posizioni rispetto al 2015 e arrivando al 24° posto, davanti alla Russia ma dietro alla Cina. Due giganti.
L’Italia dunque è un paese innovativo? Come sempre in chiaroscuro: grande densità di imprese, tipico tessuto del Belpaese col suo geniale manifatturiero, e un livello dignitoso di investimenti, ma contrariamente a quel che si è solito dire, per stereotipo, gli italiani non sono più inventori da un pezzo: per brevetti depositati e attrazione di ricercatori l’Italia è fuori da ogni standard europeo, anche se grazie alla sue imprese è comunque la migliore del sud europa (che è come dire essere la migliore delle squadre salvezza). Si fa notare il crollo della Russia, appunto, che da tempo soffre delle sanzioni economiche e delle interruzioni di alcuni rapporti diplomatici che un tempo erano essenziali: motivo per cui Putin, il suo leader, è platealmente interessato a mettere in crisi l’Europa e ad allacciare nuovi rapporti con gli Stati Uniti.
Innovazione non vuol dire produttività
Leggere la classifica di Bloomberg è come vedere di fronte a sé la contraddizione che fa parlare di una jobless society: non c’è quasi relazione comprensibile tra il livello di imprese ad alta tecnologia, gli investimenti e la capacità di produrre, cioè l’economia reale. Con l’eccezione degli Stati Uniti che mostrano coerenza tra capacità tecnologica ed economia (forse non un caso, pensando alla Silicon Valley), si notano discrepanze molto forti: la Corea del sud è prima per innovazione in tutto il mondo ma è paragonale alla Repubblica Ceca per produttività. Un altro campione di high-tech, il Giappone, è soltanto ventottesimo per produttività. Cosa significa? Che il discorso aperto da Parlamento Europeo e Commissione a proposito dei robot è tutt’altro che peregrino: l’accelerazione tecnologica brucia più posti di lavoro di quanti ne produca. Il problema ammesso anche da Mark Zuckerberg nel post che secondo alcuni ha inaugurato un’ambizione politica:
Per decenni, la tecnologia e la globalizzazione hanno reso tutti più produttivi e connessi. Questo ha creato molti vantaggi, ma a moltissima gente ha reso la vita più difficile. Ciò ha contribuito al più grande senso di divisione che abbia mai percepito nella mia vita. Dobbiamo trovare un modo per cambiare questo gioco in modo che funzioni per tutti.