Sta tenendo banco, ancora, dopo quasi un giorno, il caso del social media manager, o meglio, del community manager dell’account “Inps per la famiglia”. Evidentemente colto da una comprensibile crisi di nervi, il lui o la lei che ha tra le mani le chiavi del profilo Facebook che dovrebbe rispondere ai dubbi dei cittadini su alcune questioni, come il reddito di cittadinanza, si è slanciato in una serie di commenti ad-personam con cui tentava di dare una direzione ben dritta alla sua giornata, che ha preso due filoni molto diversi.
Il primo ha visto persone criticare, giustamente o meno, le delucidazioni date agli utenti del social network; il secondo invece ha appoggiato per diverse ore l’operato social, ricordando come anche su internet vige qualcosa che si chiama netiquette (dal 1998 almeno) e che andrebbe rispettata, come si farebbe in un qualsiasi ufficio pubblico.
Ora, va bene tutto, va bene che per qualunque cosa che non ci va bene con il provider di qualsiasi servizio (luce, gas, acqua, internet, servizi mortuari, ecc.) ce la prendiamo con il relativo account social, ma qui siamo alla degenerazione pura. L’attacco non è al linguaggio italiano utilizzato, e pure qui ci sarebbe da parlarne, ma ai motivi che spingono certi soggetti ad affermare che, senza battere ciglio, “Mio figlio non ha mai lavorato legalmente”. Un bel botta e risposta che ha portato il manager a scrivere: «I commenti di altri utenti NON devono essere commentati e NON dovete rispondere al posto nostro».
Di chi è la colpa? Un po’ di tutti. Chi gestisce un profilo semi-pubblico del genere non dovrebbe scendere a tali compromessi prestazionali: giornate storte e molto pesanti possono starci ma il solo fatto di nascondersi dietro un avatar non è buon motivo per essere così disinvolti. Dal canto loro, ci sono tanti, troppi cittadini, abituati ad avere la pappa pronta prima ancora che l’acqua sul fuoco stia bollendo. Il governo, tra mille critiche e difetti, da oltre un mese sta spiegando i passi da compiere per richiedere il reddito di cittadinanza, controllare l’iter di verifica e contattare il personale formato per dar seguito ai dubbi.
Nessuna delle modalità prevede il contatto via Facebook. Lo stesso account di “Inps per la famiglia”, nelle informazioni del profilo, riporta che «Nel rispetto della social media policy, non potranno essere trattati casi personali o singole pratiche». Come i bugiardini dei medicinali, alcune volte è meglio leggere le istruzioni, per evitare prima di tutto problemi personali (la mamma del figlio che ha lavorato in nero forse non sa che il ragazzo rischia fino a 6 anni di carcere) e poi non ottenere ciò che si cerca. Al netto dell’educazione, che non dovrebbe mai mancare.