Gli ultimi mesi del 2015 hanno lanciato un grave allarme che nessuno più più ignorare: l’inquinamento atmosferico, per troppo tempo derubricato a semplice capriccio ambientalista, è un problema urgente, vero, concreto, pesante, immediato. Soprattutto, non più procrastinabile. La consapevolezza è arrivata improvvisamente e con violenza, sbattendo contro fatti che ne hanno portata a galla tutta l’importanza (nascosta sotto lo zerbino per troppo tempo).
Lo scandalo sulle misurazioni truccate delle emissioni; il fallimento degli accordi di Parigi sul clima; il blocco delle auto in tutta la pianura Padana, cercando così di limitare il tasso di polveri sottili. Sono i numeri a far emergere la gravità del problema: i livelli di particolati nell’ambiente è causa di decine di migliaia di morti ogni anno, al punto che l’Italia sarebbe la nazione con il maggior numero di morti premature in tutta Europa. Il nemico è invisibile, ma i numeri lo mettono in evidenza: non se ne vede la consistenza, ma è possibile vederne l’ombra e capirne la consistenza.
Uno degli inquinanti più pericolosi per l’uomo e più diffusi nelle città è il Pm10: uno studio realizzato dall’Organizzazione mondiale della sanità ha stimato che nei grandi centri italiani, a causa delle concentrazioni di particolato sottile superiori ai 20 μg/m3, muoiono oltre 8 mila persone ogni anno. E uno dei principali responsabili dell’inquinamento da Pm10 è il traffico urbano: i trasporti stradali, infatti, producono più di un quarto del totale delle emissioni.
In queste ore Milano ha fermato il traffico: un palliativo di scarso significato ma comunque fondamentale, perché il clima ha negato precipitazioni per troppo tempo, il vento non aiuta la pulizia dell’aria e l’atmosfera si trova così densa di polveri determinando pericolo diretto per la salute dei cittadini. Il problema trova così spazio sulle prime pagine approfittando della calma delle vacanze natalizie, scomparendo probabilmente a inizio anno, ma incidendo nel frattempo la coscienza collettiva. “Inquinamento” non è più argomento per pochi, ma è problema quotidiano che si aggiunge agli altri.
“Troppe auto”: l’allarme di Legambiente non arriva certo solo in queste ore. Ma qualcosa sta già cambiando: grandi gruppi dell’automotive sono stati colpiti da scandali che stanno riscrivendo la storia dei loro brand. Altri gruppi, primo fra tutti Ford, stanno investendo in sistemi alternativi di mobilità nella convinzione per cui occorra andare incontro a nuovi modelli di business e di investimento:
Chiaramente Ford deve ancora fare delle belle auto, ma nelle aree urbane la mentalità è fornire servizi. Parliamo di modelli molto differenti da quello tradizionale: Ford cannibalizza parte del suo modello per trovare nuove strade.
Le soluzioni esistono
Le soluzioni ci sono e sono di sistema. Le abbiamo approfondite su Webnews durante tutto l’anno. Se è vero che oltre la metà dell’inquinamento atmosferico deriva dalle auto, allora la mobilità deve essere giocoforza il primo ambito su cui investire. C’è molto da fare, molto si è fatto e la rivoluzione potrebbe essere dietro l’angolo:
- mobilità sostenibile: partendo dal car sharing e arrivando alle auto elettriche, passando per strade fotovoltaiche e altre soluzioni ancora, la tecnologia e l’organizzazione possono fornire soluzioni di enorme impatto, in grado di cambiare radicalmente il modo di pensare i trasporti.
- mobilità intelligente: portando intelligenza elettronica sulle auto, è possibile rendere ogni singola vettura un tassello di un sistema più ampio e complesso;
- mobilità connessa: la connettività è la base per una intelligenza connettiva di cui le auto diventano protagoniste. Uomini, device e vetture dialogano rendendo intelligenti i trasporti, i flussi e la cooperazione all’interno di un sistema smartcity;
- mobilità innovativa: ogni singolo tassello può essere (deve essere) innovato, elevando di grado quella che è invece l’attuale visione dell’automotive ereditata dal secolo antecedente. C’è un balzo di paradigma da affrontare e l’urgenza del problema inquinamento potrebbe essere la leva che farà scattare la grande rivoluzione;
- mobilità sicura: cambiando vetture e processi, nonché il ruolo dell’uomo nella mobilità, cambiano i protocolli che devono regolamentare i flussi del traffico. Le auto a guida autonoma saranno l’elemento ultimo ad inserirsi in questo discorso, imponendo riflessioni fondamentali sulla sicurezza e sull’etica dei trasporti regolati da algoritmi.
Un nuovo modello
La circolazione a targhe alterne è più un modo per evidenziare il problema che non per risolverlo: nessun palliativo può aiutare a ridurre una problematica che è ormai evidentemente cronica. Se si vuole migliorare il livello di qualità della vita, quindi, occorre una riflessione seria che vada oltre questi semplicistici interventi che equivalgono (né più, né meno) ad una foglia di fico.
Pensare a nuovi modelli di mobilità significa assumersi la responsabilità di incarnare la consapevolezza piena del problema, guardando al futuro e non soltanto al domani. Per dare il via alla rivoluzione occorre tentare di abbracciare una visione decennale, che porti il modello attuale ad evolvere fortemente. Il problema sarà sempre più evidente nei centri metropolitani, laddove gli scarichi si sommano, i problemi di mobilità si moltiplicano e la densità della popolazione è destinata ad aumentare ulteriormente.
C’è in ballo il futuro. A questo punto, di fronte all’emergenza, le sfumature si attenuano e la situazione va guardata con giudizi più netti: o si investe nella rivoluzione, o ci si rende complici della disfatta.
Persone, aziende, istituzioni, nessuno escluso: tutti devono rispondere alla medesima responsabilità guardando negli occhi le generazioni future e l’ambiente che si lascerà loro in eredità.