Internet e psicologia sono alla base di uno studio dell’Università del Missouri di prossima pubblicazione che mette in relazione alcuni comportamenti nell’uso della rete con le casistiche della depressione. La domanda finale è suggestiva: se è facile monitorare l’attività online di un utente, perché non tentare di individuarne anche il disagio psichico? Se si riesce a stabilire una correlazione tra comportamenti e sofferenza, perché non tentare di porre rimedio ad eventuali casi problematici riscontrati?
Questo si sono chiesti i ricercatori che hanno prodotto lo studio, pubblicato dalla rivista Technology and Society, arrivando a stabilire alcune griglie di valutazione del comportamento dei 216 studenti messo sotto osservazione. Un terzo del campione che ha mostrato successivamente segnali di depressione aveva già anzitempo mostrato, in forma anonima, coerenza con alcuni comportamenti diversi rispetto agli altri nella navigazione sul web.
Le persone che soffrono di depressione, secondo quanto emerso dallo studio, navigano in modo molto più casuale, aprono più schede, chattano più di frequente, utilizzano più file sharing, ma con un tasso di attenzione sensibilmente più basso che porta a una frequenza di switch tra applicazioni molto più alta. Due concetti che si sapevano già – cioè che la depressione è associata ad una più alta distraibilità e che i nostri comportamenti in rete riflettono spesso la nostra personalità – hanno portato gli studiosi a intuire che nell’uso di Internet ci sono tracce misurabili di sofferenza: un eldorado per gli psicologi sempre alle prese con la difficoltà a stabilire dei nessi oggettivi.
Da qui lo stimolo più importante dello studio: immaginare un software in grado di monitorare lo stato depressivo, anche nei suoi segnali iniziali. Gli scenari sono facili da immaginare: un social network potrebbe intervenire su un utente che dimostrasse segni di depressione ancor prima che questi rendesse pubblico il suo disagio o arrivasse a gesti sconsiderati. Così lo promuove Sriram Chellappan, il coordinatore della ricerca:
Il software potrebbe essere uno strumento economicamente efficace perché utilizzato a casa potrebbe proattivamente richiedere agli utenti di consultare un medico se i loro modelli di utilizzo di Internet indicano una depressione possibile. Il software potrebbe anche essere installato sulle reti dei campus di modo da notificare dei consigli agli studenti i cui modelli sono indicativi del comportamento depressivo.
Questi strumenti sono tanto suggestivi quanto inquietanti, se visti dal punto di vista della privacy, ma difficilmente i colossi della rete potranno rinunciare a scoprire con precisione oggi inedita i comportamenti dei loro utenti – se davvero questi software verranno sviluppati. Per almeno due motivi: scongiurare comportamenti negativi (soprattutto quelli autodistruttivi) sta diventando un obiettivo prioritario, ad esempio, per Facebook, impegnato in molte azioni di contrasto al bullismo, ai suicidi, agli abusi; inoltre (più prosaicamente) poter stabilire un contatto emotivo così sensibile con un utente, significa fidelizzarlo.