Le persone sanno cosa mangiano? Di che proporzioni è il costo ecologico dell’attuale modello di produzione agroalimentare? L’edizione dell’Internet Festival intitolata “Materia prima” non poteva esimersi dall’affrontare il tema del cibo e dell’alimentazione, portando sul palco del Geoide davanti alla Normale di Pisa due panel sull’hackingfood e il nextfood. Hackerare il cibo per dargli un nuovo futuro.
La campagna sta sparendo, aumenta in modo impressionante il numero di diabetici, celiaci, intolleranti a diversi alimenti, in un mondo dove un terzo del cibo prodotto non viene neppure raccolto. Com’è stato possibile arrivare a questo punto? Ha un futuro un modello dove ci sono centinaia di milioni di consumatori e poche decine di produttori in grado di influenzare le policy, le normative sulla qualità, persino i mezzi di informazione?
Ecco perché c’è chi sta facendo hacking, come le ragazze di cucina mancina, di Hack farm, creatura di Daniel Grover, che costruiscono piattaforme di condivisione online delle informazioni per fare community di cittadini (e contadini) consapevoli. C’è chi come Alessandro Pirani ha presentato il Future Food Institute, invece punta a una rete di imprese innovative. Sulla base dei foodhackathon, incuba le idee migliori del mondo per cambiare le regole di accesso al cibo e alle risorse alimentari. Sono le stesse imprese a finanziare centri di ricerca per scovare nuove soluzioni, nella maniera meno ideologizzata possibile (basti pensare all’esempio negativo del dibattito italiano sugli Ogm). Ottima notizia, da questo punto di vista, l’apertura presso l’università di Reggio-Modena del primo Master in Food Innovation. Saranno queste figure a porre le condizioni per intervenire sui tre punti deboli del sistema agroalimentare italiano: le politiche, il sostegno all’imprenditorialità, il contrasto alle desertificazioni alimentari.
Diversa, più social l’ispirazione di SoulFood, una piattaforma nata a Roma nel 2008 che si è inventata l’etichettatura aggiuntiva. Condivisione di saperi, di esperienze dirette col cibo, e un progetto di crowdfounding per arrivare a premere sui produttori con azioni di hacking del cibo: etichette positive per i produttori che rispettano certi criteri e una simpatica etichetta “machettemagni” per chi invece non dice nulla su cosa mette nel suo prodotto. E si intuisce il motivo.
Nick Difino, dall’alto della sua esperienza personale e della sua approfondita battaglia per un’alimentazione corretta – che passa anche da un originale format di eat-tertainement – in conclusione del suo intervento ha ricordato i principi che muovono l’hacking:
Informati, studia, rompi le scatole, cambia, ricostruisci. Anche per il cibo, che è cultura, identità, che costruisce il nostro dna, è importante cominciare a farlo.
Il cibo è una commodity, modernissima, senza dubbio, ma è anche molto di più. La Rete può riportarlo al centro della vita delle persone ridisegnandolo completamente, nella sua qualità, nell’impatto ambientale ed economico, negli effetti – tavolta impensabili – su diritti e geopolitica.