È l'ignoranza la causa dell'ignoranza

Eugenio Scalfari porta su L'Espresso una forte provocazione: Internet è la causa dell'ignoranza. E se l'ignoranza fosse invece solo figlia di se stessa?
È l'ignoranza la causa dell'ignoranza
Eugenio Scalfari porta su L'Espresso una forte provocazione: Internet è la causa dell'ignoranza. E se l'ignoranza fosse invece solo figlia di se stessa?

Derubricare l’attacco di Eugenio Scalfari a semplice e vuota provocazione sarebbe facile: un titolo come «È Internet la causa dell’ignoranza» parla da sé. Considerare vaneggiante il testo e criticarne l’impianto sarebbe altrettanto facile e la questione sarebbe archiviata in un secondo. Ignorare il tutto sarebbe ancor più veloce, ma non renderemmo merito alla vocazione di chi crede nell’innovazione come pungolo per migliorare. Il rischio era quello di perdere una utile occasione per riflettere. Motivo per cui vogliamo dedicare all’articolo di Scalfari qualche parola, qualche spunto aggiuntivo, dimostrando nei fatti che anche il Web sa, e vuole, approfondire.

È Internet la causa dell’ignoranza?

Il testo originale del pezzo è a pagina 146 de L’Espresso del 23 gennaio 2014: la rubrica “Il vetro soffiato”, a firma di Eugenio Scalfari, trae conclusioni in parte argomentate ed in parte oltremodo fragili circa il ruolo che ha Internet nella formazione della cultura odierna. Che sulle parole bisognerebbe intendersi, occupando ben più di un editoriale su una rivista e un commento su un sito Web. Tuttavia scrostare qualche misunderstanding è immediatamente necessario, affinché le conclusioni di Scalfari non passino inosservate.

Una prima considerazione è ricavabile in quel che si legge tra le righe dell’articolo. Scalfari, infatti, commenta un fatto avvenuto in televisione, testimoniato da YouTube e commentato in seguito da Umberto Eco. In pochi paragrafi Scalfari passa dal fatto alla tesi: Internet è la causa dell’ignoranza. L’argomentazione è rapida e diretta: delegare la memoria agli strumenti informatici implicherebbe una cronica incapacità di memorizzare, il che porterebbe ad una generalizzata ignoranza di fondo degli strati più giovani della società. Interessante è notare come tutto ciò nasca da una scoperta che nasce da YouTube: se YouTube non avesse testimoniato la puntata del quiz, e se tanti ragazzini non avessero condiviso (con sdegno) quanto accaduto, e se Eco non avesse ripreso la cosa grazie alla segnalazione di un ragazzino, allora Scalfari non avrebbe mai saputo di quanto successo. Se Scalfari avesse “ignorato” quanto accaduto sarebbe stato “ignorante”? Non vorremmo mai concludere così la nostra riflessione, perché non è questa la verità.

Memoria e cultura

Nella prima parte del testo, Scalfari ripropone fedelmente la tesi di Umberto Eco secondo il quale l’incapacità di memorizzare porta di fatto ad un decadimento della cultura. Viene rilanciata così l’idea per cui imparare le poesie a memoria (pratica del passato poi depennata dai sistemi di insegnamento) aiuta a nutrire la memoria stessa, conservandola viva al servizio di altre utilità. Mentre Eco tiene in considerazione la quota di memoria “sostituita” dagli stimoli della Rete, Scalfari prende invece una via differente: delegare la memoria significa semplicemente perdere contenuti.

Tale conclusione non appare suffragata dai fatti perché, se è vero che la memoria storica è spesso lacunosa, al tempo stesso sono molti gli ambiti nei quali la memorizzazione è esercitata, è viva ed è asservita a vari scopi. Quante password ricorda un bambino? Quante nozioni in più apprende un adolescente di oggi rispetto a chi passava il tempo a studiare a memoria le poesie di Pascoli? Quanta cultura diffusa c’è in più rispetto al più asfittico ambiente di qualche decennio fa?

Se si intende misurare la cultura sulla base di parametri di due generazioni fa, allora la tesi di Scalfari trova una sua sussistenza. Ma siccome gli stessi parametri di misurazione sono cambiati nel tempo, allora occorre rivedere ogni riflessione ed ogni conclusione: il concetto di cultura è cambiato assieme al concetto di memoria. Forse occorrerebbe esercitare la logica, piuttosto, ma anche in questo nuovi sistemi legati al computing ed alla programmazione iniziano a fornire nuovi strumenti ai ragazzi di oggi.

Internet NON è la causa dell’ignoranza

L’Italia rimane un paese nel quale la verità è svelata da rubriche stampate su carta o recitate in televisione, firmate da chi ha la barba bianca e proprio non capisce (l’età non è una colpa) la natura delle nuove generazioni. Perché una cosa va detta fino in fondo: nel pezzo di Scalfari v’è un susseguirsi di semplificazioni da far girar la testa.

  • «Molti frequentatori della rete hanno smesso di frequentare il prossimo e restano ritirati in casa a navigare sulle onde della nuova tecnologia»: chissà se si direbbe lo stesso di chi legge libri ed evita di uscire per finire il proprio nuovo volume trovato in biblioteca»;
  • «La rete ha modificato il pensiero, ha ridotto al minimo la parola scritta», arrivando poi a parlare di Twitter come se tutto il mondo dialogasse a 140 caratteri: che il pensiero vada modificandosi è cosa conclamata, ma che Internet sia la causa è cosa del tutto superficiale, fuorviante e, in definitiva, falsa; soprattutto, Internet ha invece restituito spazio alla parola scritta, pur in nuove forme e con nuovi ritmi;
  • «I nostri giovani leggono i giornali e i libri attraverso la Rete. Cioè leggono notizie e cultura ridotte a poche parole»: in due frasi c’è il nocciolo apparente della questione, il nervo scoperto di chi sotto sotto sta difendendo uno status quo che vede minacciato alla radice.

Signor Scalfari, questo non è un attacco alla sua persona. Ci mancherebbe. Nel suo pensiero, anzi, ci sono anche alcune verità incontestabili e che intendiamo anzi ribadire e supportare. Che la Rete abbia accelerato un certo processo evolutivo della lingua, sottraendo tempo alla riflessione ed assottigliando l’approfondimento in favore della quantità degli stimoli, è cosa innegabile: cosa pericolosa e da analizzare fin da oggi, perché in prospettiva può avere gravi ripercussioni. Così come è innegabile il problema di un meccanismo che porta puntualmente ad esternalizzare la memoria, come compendio oneroso e non utile, perdendo di vista le giuste proporzioni tra conoscenza diretta e apprendimento delegato.

Tuttavia, signor Scalfari, proviamo a suggerire una tesi di partenza differente, che si potrebbe dimostrare tanto facilmente quanto lei ha fatto con il suo sillogismo. Se il misfatto è successo in tv, e non in rete, perché non pensare che l’ignoranza sia figlia della televisione invece che dei nuovi media? Inoltre: se sono state le generazioni precedenti a formare le generazioni odierne, perché non scaricare sui maestri le colpe per un insegnamento spesso vuoto, spesso lacunoso, spesso inefficiente, spesso politicizzato e spesso distaccato dalle necessità che presenta il mondo oltre il percorso di studi? Infine, più semplicemente: perché non pensare che l’ignoranza sia figlia dell’ignoranza, senza tirare in ballo strumenti dei quali si riescono a vedere solo le minacce e non le potenzialità?

Il tema della memoria è fondamentale. Il dubbio sulle modalità con cui il sapere sarà trasmesso alle prossime generazioni, è qualcosa di importantissimo sul quale ancora abbiamo poche risposte. Alcuni argomenti solleticati dall’analisi di Scalfari meriterebbero ore e ore di riflessione prima di poter abbozzare qualsivoglia ipotesi. Quel che non si può fare, invece, è pensare e comunicare che Internet sia la causa dell’ignoranza. Se voleva essere una provocazione, allora v’è anche una aggravante. Se invece è semplice superficialità, allora evidentemente l’appiattimento della cultura non è un male da imputarsi soltanto alle nuove generazioni. Le quali hanno forse appiattito la conoscenza del passato (per colpe non completamente loro), ma hanno sicuramente una visione di profondità ben più viva quando lo sguardo viene rivolto al futuro.

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