Da poche ore l’associazione Digital Champions ha annunciato che sta per chiudere i battenti e va verso la liquidazione: la richiesta del fondatore Riccardo Luna, il plebiscito che ha certificato la trasformazione e ora l’evoluzione verso un nuovo movimento del quale ancora si conosce poco. Il passaggio ha scatenato però anche il regolamento di conti tra entusiasti e detrattori, tra amici e nemici, tra “Champions” e “Minions” (ma questa è cosa per poche migliaia di utenti che animano fin dall’inizio il dibattito su due gruppi Facebook distinti): l’acredine accumulatasi nei pochi mesi di attività dell’associazione è emersa in tutta la sua forza nel momento stesso in cui l’entusiasmo ha tirato il fiato in attesa del prossimo grande rilancio. E i toni dello scontro sono presto saliti di grado.
Webnews non ha mai celato la propria sfiducia latente nei confronti dell’associazione Digital Champions. Non si tratta di una sfiducia personale nei confronti dei singoli partecipanti (ai quali va anzi reso onore per il servizio gratuito prestato, una sorta di servizio civile orientato al digitale, volontario e meritevole), né di una questione personale nei confronti del fondatore (Riccardo Luna ha dimostrato di saper calamitare attenzioni come pochi altri saprebbero fare), ma di una differente visione nella sostanza, nelle finalità e nel metodo.
In occasione del grande cambiamento annunciato, è utile a tutti fare il punto sul passato prima di iniziare a costruire il futuro. Abbiamo voluto così che fosse lo stesso Riccardo Luna a spiegarci il cosa, il come e i perché.
Intervista a Riccardo Luna
La notizia delle ultime ore, da cui sono nate più o meno motivate critiche, è che l’associazione Digital Champions non c’è più. Sciolta, con voto a grande maggioranza, per diventare qualcosa di nuovo e di diverso. Un “movimento”, si dice. Qual è la differenza tra i Digital Champions di ieri e i Campioni Digitali di domani?
Intanto una premessa. L’evoluzione dei digital champions in una community aperta di campioni digitali ha generato entusiasmo e curiosità. In poche ore abbiamo registrato più di 500 richieste di iscrizione al gruppo su Facebook che nel frattempo avevamo aperto. Ed è solo l’inizio. Le critiche sono circoscritte ad un piccolissimo, rispettabile peraltro, gruppetto di persone che mi critica su qualunque cosa da quando nel 2008 venni incaricato di portare Wired in Italia. Se domani leggessi le previsioni del tempo o l’ora esatta troverebbero il modo di polemizzare lo stesso. Pazienza.
Per rispondere alla domanda invece posso dire che c’è una differenza sostanziale: i digital champions erano una rete di volontari che rispondevano ad una mia chiamata pubblica e che venivano da me nominati su base comunale, con l’obiettivo di averne uno in ogni comune. Siamo arrivati a 1800 con circa 8000 domande in attesa di essere esaminate. Un successo incredibile che testimonia della grande generosità di tante persone nel mettersi in gioco per gli altri gratuitamente. Ma ci siamo resi conto che era diventato troppo complesso gestire questa rete e quelle energie abbiamo voluto recuperarle per favorire l’inclusione di altri e l’attuazione di nuovi progetti.
Oggi infatti, grazie al primo anno dei digital champions, è passato nel paese un modello, quello del campione digitale diffuso, lodato da tutti, dal presidente del consiglio alla Commissione europea (c’è un video di due minuti con la frasi salienti dell’Italian Digital Day di Venaria a testimoniarlo, consiglio di guardarlo bene). La Rai ha già un campione digitale in ogni redazione, le scuole ne hanno uno per istituto (ottomila!), seguiranno i musei (quattromila), e forse le fabbriche. Non aveva più senso una rete chiusa quanto piuttosto un movimento aperto di campioni digitali uniti dai principi e dagli obiettivi del manifesto europeo che come Digital Champions europei abbiamo inviato ai nostri 28 governi a dicembre. E quindi, chi firmerà il manifesto si impegnerà pubblicamente a diventare un campione digitale nella propria comunità. Senza nomine e stellette. È un modello che chi sta in rete conosce bene: vince chi fa.
L’associazione è stata sciolta perché avrebbe raggiunto i propri obiettivi. Visto che da più parti si critica proprio questo punto, ossia la sostanziale inutilità dell’attività dei DC, quali sono gli obiettivi raggiunti in questi mesi? Perché l’esperienza DC non poteva proseguire, magari verso obiettivi più ambiziosi?
È vero esattamente il contrario: l’attività di tutti prosegue con obiettivi ancora più ambiziosi. Se fossimo rimasti fermi avremmo al massimo replicato il 2015 che è stato un anno bellissimo per tutti noi, ma nel quale non è stato ancora fatto abbastanza per la diffusione del digitale in Italia. Di questo passo infatti ci vorranno più di 10 anni per portare tutti gli italiani in rete: troppi, non ce lo possiamo permettere. Quanto alle cose fatte vanno fatti dei distinguo. Io sono consigliere per l’economia digitale del presidente del consiglio e una parte fondamentale del mio incarico è appunto questa: i risultati si vedono nella partenza del piano per l’Italia Digitale e nel fatto che il digitale nell’agenda del governo sia sempre più in alto (ovviamente non sono l’unico a impegnarmi su questi temi nella squadra del governo).
Ho poi un compito per la diffusione della cultura digitale e anche qui, il fatto per esempio che la Rai, che è la più grande azienda culturale del paese, si sia dotata di una rete di campioni digitali in ogni redazione, è un risultato del protocollo che abbiamo firmato il 19 dicembre 2014 con il direttore generale Gubitosi. L’impatto di questa scelta è molto più incisivo di quanto si possa immaginare: vuol dire avere una sentinella sui temi del digitale per ogni programma o tg. Infine c’è la rete che abbiamo creato: a livello locale sono innumerevoli i progetti realizzati dai singoli su base locale, piccoli ma numerosissimi. Faccio l’esempio dei Coderdojo che in Italia sono cresciuti moltissimo grazie alla nostra spinta (non lo dico io, lo dicono loro). Come rete poi ci siamo mossi tutti assieme per la campagna sulla fatturazione elettronica, mobilitando tutte le camere di commercio e la Rai: la dimostrazione di quello che può fare una rete capillare sul territorio.
Siccome v’erano in ballo anche investimenti da parte di aziende esterne e oneri legati alle varie iniziative avviate: come sarà liquidata l’associazione?
Un liquidatore preparerà il bilancio e lo approverà. L’assemblea ha giustamente deciso che, anche se non ne saremmo tenuti, sarà tutto pubblico. Qualcuno ha fatto confusione con gli asset che mi sarebbero stati affidati: tutti gli eventuali soldi che dovessero avanzare dalla gestione 2015 saranno devoluti ad un’altra associazione che si occupa di digitale come da statuto. Ma come si vedrà presto, stiamo parlando di qualche centinaia di euro: tutti i soldi raccolti sono stati utilizzati per le attività dell’associazione.
Il tuo operato si era distinto rispetto a quello degli altri Digital Champion perché avevi dato vita a una rete di “champions”, ma questa rete ora non c’è più: come proseguirai il tuo mandato?
Con ancora più entusiasmo di prima e mobilitando una rete ancora più larga di persone. È come in un videogioco: il primo livello è stato raggiunto. Ora dobbiamo accelerare e monitorare affinché le promesse che il governo ha fatto a Venaria vengano mantenute, nei tempi e nella sostanza dei provvedimenti.
Avevi informato Matteo Renzi dell’idea di sciogliere l’associazione? O avete mai parlato del futuro della stessa, magari in occasione dell’Italian Digital Day di Venaria?
No. Con il presidente del Consiglio c’è un rapporto di fiducia e stima che è iniziato nel 2011 quando fu il primo e l’unico sindaco ad accettare la mia richiesta – come presidente della nascente Wikitalia – di mettere in formato open data tutti i dati del comune. Da lì non ci siamo più fermati: OpenExpo e SoldiPubblici, per citare due progetti varati e conclusi nel 2015, sono figli di quel percorso lì a proposito di cose fatte e fatte bene.
I tuoi detrattori contestavano la linea, giudicata troppo sottile, tra il tuo incarico pubblico e la tua figura privata (come front man, come professionista, come autore di articoli su importanti testate). Oggi la critica è arrivata ai conti di Asset Camera, contestando il denaro investito nelle iniziative che hai portato avanti (dalla Maker Faire all’Italian Digital Day, tanto per citarne alcuni). In particolare sono contestati gli affidamenti diretti, le cifre investite sulla tua persona, gli incarichi ricaduti su alcuni Digital Champions e altro ancora. Ritieni queste critiche inevitabili, inopportune, eccessive o cos’altro? Pensi di dover o voler fare chiarezza su questi aspetti?
Le ritengo inevitabili, inopportune e eccessive. Ho iniziato a collaborare con Asset Camera subito dopo la fine del mio rapporto con Wired, nell’estate de 2011. E non ho fatto la Maker Faire perché sono Digital Champion, ma piuttosto sono Digital Champion per aver fatto anche la più grande e importante Maker Faire europea (oltre 100 mila presenze nel 2015, un successo che cresce ogni anno). E aggiungo: l’incarico istituzionale è un incarico gratuito perché così stabilisce l’Europa, a personalità che con la loro attività si sono distinte nella cultura digitale. Io faccio il giornalista occupandomi solo di innovazione: avrei dovuto lasciare tutto per un incarico gratuito?
L’esperimento Digital Champions ha raccolto tanto entusiasmo quante critiche. Col senno del poi, qual è il miglior ricordo che ti porterai appresso? E qual è stato l’errore che non rifaresti?
Non è esatto: l’entusiasmo e il consenso sono molto superiori alle critiche. A volte frequentando i social siamo portati a pensare che l’importanza di un gruppetto su Facebook sia analoga a quella dell’opinione pubblica in genere. E invece è come se in un bar, in un unico bar di una grande metropoli, ci fossero dei detrattatori. Vanno ascoltati, perché magari qualche buon consiglio viene anche da lì, ma non sopravvalutati. Quanto ai ricordi, potrei citare tanti momenti pubblici, da Venaria all’assemblea romana dell’altro giorno dove hanno partecipato persone che sono partite nella notte per esserci. Ma il ricordo più bello si rinnova ogni giorno quando scopro da un episodio che l’entusiasmo e la generosità di questa rete di persone non si spegne mai.
Qual è l’aspetto più problematico dell’essere Digital Champion? Se dovessi dipingere il profilo del tuo successore, quali caratteristiche dovrebbe avere?
Una premessa. Non sono in scadenza. Il mio è un incarico fiduciario del presidente del consiglio: finché lui avrà fiducia in me e io troverò ragioni per continuare a impegnarmi gratuitamente su questo fronte, continuerò a farlo. L’aspetto più problematico è proprio la gratuità che però è prevista dalla Commissione europea: proprio i miei colleghi europei si dolgono spesso del fatto di non avere stipendio, né budget né staff. Zero, tre volte zero. Affidare una missione così importante ad una persona sostanzialmente “disarmata” può apparire velleitario. Per questo un anno fa ho creato una rete e per questo adesso abbiamo deciso di farla scalare levando dal tavolo della discussioni due degli aspetti “problematici” che alcuni critici avevano sollevato: la nomina dall’alto e l’associazione. Ora vogliamo finalmente uscire dal bar e guardare avanti tutti assieme?