IPV6, avanti piano

L'IPV6 entra nella terza fase, quella della sperimentazione del doppio regime. L'Europa e l'Asia a corto di indirizzi premono, insieme all'industria del software mentre gli Stati Uniti stanno a guardare.
IPV6, avanti piano
L'IPV6 entra nella terza fase, quella della sperimentazione del doppio regime. L'Europa e l'Asia a corto di indirizzi premono, insieme all'industria del software mentre gli Stati Uniti stanno a guardare.

La Rete si fa stretta. L’assegnazione degli indirizzi IP dal 2005 in poi è destinata alla saturazione. Oltre questa soglia temporale l’Europa avrà esaurito gli indirizzi Web a sua disposizione. Ed il Sud Est asiatico non se la passa meglio. Se la Rete è congestionata è giunta l’ora di traghettare Internet dall’attuale protocollo di comunicazione a quello ben più capiente della generazione successiva. La paura di restare a corto di indirizzi Web mette il sale sulla coda all’Europa ed al Sud Est asiatico che cominciano a preme sull’acceleratore per l’adozione dell’IPV6 con svariate iniziative. Ma nemmeno le aziende stanno con le mani in mano.

Nel giro degli ultimi giorni Cisco spalanca le porte all’adozione su larga scala dell’IPV6. Il gigante del routing ha presentato l’aggiornamento dell’IOS III che consente agli ISP l’uso sia del vecchio che del nuovo protocollo di rete. Un buon colpo a favore dell’IPV6 lo ha assestato Microsoft, considerando la forte penetrazione dei suoi software sul mercato domestico ed aziendale. L’ultimo nato di casa Windows, l’XP, è compatibile con le nuove specifiche.

Ad Est del Pacifico fioriscono le iniziative come quella dell’Asia Global Crossing che ha preso a testare l’IPV6 attraverso la tecnica del tunnelling, la stessa utilizzata da 6Bone, presente anche in Italia. Il trasporto dei pacchetti di dati con il nuovo protocollo avviene attraverso le strutture esistenti (che adottano l’IPV4), ricorrendo ad una sorta di tunnel digitale in grado di far dialogare tra loro computer che usano protocolli diversi.

L’industria non è l’unica a premere. La task force dell’UE sull’IPV6, istituita ad aprile di quest’anno, ha partorito il progetto per sviluppare la prima rete Internet Exchange pre-commerciale paneuropea: l’IPV6ix. Dopo sette mesi di lavoro, la Comunità europea ha lanciato un’iniziativa di sperimentazione sul nuovo protocollo che raccoglie le principali società di Tlc europee. Per l’Italia collabora all’iniziativa Telecom Italia Lab. La Spagna è invece presente con Telefonica, Airtel-Vodafone; l’Inghilterra con British Telecom Exact; la Danimarca con Ericsson e Telebit; la Francia con Wind, France Telecom; la Germania con T-Systems Nova; il Portogallo con Portugal Telecom, il Belgio con Eurocontrol infine la Svizzera con Telscom.

A stringere sui tempi c’è la considerazione che i 43,3 miliardi di indirizzi IP a disposizione del volume a 32 bit dell’IPV4 (attualmente in uso) si consumano a ritmi vertiginosi. Il problema, com’è ovvio, si pone con una certa impellenza per i paesi dotati del minor numero di indirizzi IP. Sicuramente non per gli Stati Uniti che agli albori della Rete ha riservato per sé e per le istituzioni (governative, universitarie e militari) la maggior parte degli indirizzi.

Con l’esplosione di Internet l’Europa ha già bruciato il 75% degli indirizzi a sua disposizione. La fase critica per l’assegnazione degli IP è destinata ad accentuarsi con l’arrivo della connettività wireless. Per l’indirizzamento dei pacchetti di dati in entrata ed in uscita ogni computer collegato alla Rete ha bisogno di un indirizzo IP unico. Se alla crescita esponenziale dell’uso del computer e dei collegamenti Internet si aggiunge anche la diffusione degli apparecchi mobili UMTS, la proporzione del problema appare chiara.

L’IPV6 (il nuovo protocollo di rete con una capacità di 128 bit) sarà in grado di garantire milioni di miliardi di indirizzi IP. Precisamente i 43 miliardi circa ricavabili dall’attuale protocollo di rete, elevati alla quarta potenza.

Il problema più delicato è la migrazione verso il nuovo protocollo di rete. Internet è un sistema unico che per funzionare ha bisogno di meccanismi omogenei come però l’IPV4 e l’IPV6 non sono. La fase più delicata resta quella dell’inevitabile coesistenza tra le due versioni dell’IP.

Ma ormai ci siamo quasi. L’adozione dell’IPV6 è entrata formalmente nella terza fase, in quella destinata a stringere sulla sperimentazione del doppio regime. Di questo si è discusso all’ultimo IPV Forum, svoltosi il 3 ed 4 dicembre a Yokohama (Giappone) nella riunione che ha raccolto industriali dell’informatica e della comunicazione a discutere della difficile transizione.

Ma se più di qualcosa si muove nell’IPV6 non tutti sono d’accordo. Il vecchio continente e l’Asia del Pacifico spingono per l’adozione dell’IPV6 con il benestare delle aziende che hanno fiutato il mercato della tecnologia di transizione da un protocollo di rete ad un altro. Lo IEFT (Internet Engineering Task Force) ed il W3C sorvegliano il cammino di un progetto da loro avviato nel 1998, mentre gli Stati Uniti senza problemi di IP stanno a guardare.

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