In molti avevano creduto (e sperato) in un esito diverso, complici anche i sondaggi della vigilia, ma una volta chiuse le urne e terminato lo scrutinio i sostenitori del Partito Pirata si sono dovuti destare dal loro sogno: in Islanda il movimento guidato da Birgitta Jonsdòttir (in passato all’interno del progetto WikiLeaks) è solo la terza forza politica del paese, con il 14,5% dei voti. Ai conservatori di Bjarni Benediktsson il 29,1%, ai verdi del Left-Green Movement il 15,9%. Non dev’essere però interpretata come una sconfitta quella del Pirate Party, almeno secondo il leader e fondatore svedese Rick Falkvinge.
Dal mio punto di vista, stiamo viaggiando anche troppo veloci, in Europa.
Rispetto alla precedente tornata elettorale il partito ha di fatto raddoppiato il numero delle preferenze ricevute. Avrà comunque modo di dire la propria all’interno dell’Althingi, il Parlamento islandese. Potere della grande Rete, dove il movimento è nato e cresciuto, dove l’idea di una rappresentanza democratica capace di portare nei palazzi della politica uno spirito di riforma, trasparenza e partecipazione diretta ha trovato il terreno fertile per attecchire, per conquistare il favore di chi intravede nel cambiamento l’unica via di progresso, per prosperare. Anche per Falkvinge risulta impossibile non fare paragoni con quanto accade da noi.
Da voi, per esempio, i 5 Stelle hanno attecchito in fretta, ma Grillo ha “approfittato” della sua fama di comico. Noi invece nasciamo totalmente dal basso e le trasformazioni richiedono tempo.
Su Repubblica, oggi, l’intervista di Francesca De Benedetti al fondatore svedese del movimento Rick Falkvinge, che in poche righe riassume la propria visione e gli obiettivi: scardinare le attuali dinamiche che regolano il panorama politico, nel nome di un approccio maggiormente partecipativo alla gestione della cosa pubblica, ripensare le modalità di confronto e gli iter decisionali, definire nuove priorità. Una strada di certo non priva di ostacoli, ma che in paesi come la Svezia, la Germania e la Gran Bretagna (ora anche l’Islanda) ha già dimostrato di poter essere percorribile.
Più che un’idea è uno stile di vita: collaborativo, partecipativo. Ci sono temi “vecchi” che preoccupano gli europei, come il bisogno di lavoro, e temi “nuovi”, come la sorveglianza. La differenza sta nel modo di fare politica: noi “pirati del Web” siamo globali, trasparenti, senza gerarchie né intermediari. I politici del futuro saranno come gli youtuber: parleranno direttamente a milioni di persone. Cambiato l’approccio, cambieremo le priorità: per esempio è fantastica l’idea di trasformare l’Islanda in un porto sicuro del free speech, un paradiso dei server, una Svizzera dei bit.
Con i suoi circa 320.000 abitanti, l’Islanda costituisce un banco di prova importante per capire quanto dirompente possa realmente essere una forza come il Partito Pirata nel contesto governativo e amministrativo di un paese. Il movimento ha già da diversi anni una rappresentanza anche in Italia. Questo il commento di Birgitta Jonsdòttir all’ufficializzazione dei risultati.
Le nostre previsioni interne erano del 10-15%, quindi abbiamo ottenuto il massimo di quanto possibile. Sapevamo che non saremmo mai arrivati al 30%.