In Italia, nonostante la pressione operata dai nuovi media si faccia ormai praticamente insostenibile, la situazione continua a rimanere congelata su un modello quantomeno vetusto a causa delle prepotenti resistenze operate dal sistema in vigore. La conferma giunge dal sesto Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione nel nostro paese, ove la conclusione primaria è fondamentalmente una: in Italia c’è troppa televisione.
Recita il comunicato ufficiale proposto sul sito del Censis: «in Europa la trasformazione del modello televisivo verso le tecnologie digitali sta procedendo velocemente. In Italia invece la dipendenza dal modello televisivo tradizionale è ancora molto forte e la più alta fra i paesi europei più simili al nostro: è, infatti, il 72% della popolazione a vedere nel nostro paese solo ed unicamente programmi della televisione tradizionale, a fronte del 65% della Spagna e della Francia, del 50% della Germania e del, minimo, 31% della Gran Bretagna». L’Italia, per contro, eccelle in altri ambiti: «solo in Italia l’uso del cellulare compete in termini di diffusione (79% della popolazione sopra i 14 anni) con il mezzo televisivo, negli altri paesi studiati il cellulare scende sempre al quinto posto (con percentuali sotto il 70%), tranne che in Spagna dove è al secondo posto (78%) ma solo con un lieve vantaggio rispetto alla radio (73%) e ai quotidiani (68%)».
Per quanto concernente specificatamente l’argomento Internet, la ricerca offre per il nostro paese i numeri più imbarazzanti: «nel nord Europa internet è un vero mass media. Il 61% dei britannici che usa internet rende quasi vano il nostro apprezzamento per il fatto che, finalmente, il numero degli utenti italiani di internet ha raggiunto il 38% della popolazione. Viaggiamo a velocità differenti, e non solo nel campo della comunicazione digitale. L’Italia corre, ma gli altri sono già molto lontani». Il raffronto con i paesi anglosassoni rende più completo il quadro della situazione: «in Gran Bretagna […] il pubblico della tv tradizionale è superiore a quello italiano (95% contro 94%), però la radio è all’80% (in Italia è al 63%), i quotidiani al 78% (da noi al 59%), i libri al 75% (noi siamo al 55%) e internet al 61% (contro il 38% italiano)».
Il comunicato si chiude con una nota poco ottimistica: anche se in Italia i numeri sono in progressivo miglioramento, la marcia innestata in altri paesi rischia di aumentare ulteriormente il gap esistente ad oggi: «il rischio che, pur muovendoci velocemente, le distanze possano ancora aumentare non è da escludere».
Risulta evidente il fatto che il mancato adattamento alle nuove tecnologie dipenda da fattori esterni alla meritocrazia del sistema stesso dei media. Infatti i numeri del Censis dimostrano come l’informazione sia il primo bisogno che spinge l’utente ad accedere ai media, ma in questo contesto solo il 29% dell’utenza cerca su Internet quanto desiderato (la televisione è invece al 90%, i quotidiani al 56% ed il web raccoglie clamorosamente un risultato paritetico al Teletext). Che il passato gravi pesantemente sui numeri odierni è ben specificato dalla sensazione di inerzia sublimante dall’ulteriore conclusione del Censis: «in definitiva la TV è sempre al primo posto in termini di diffusione (persino nell’ascolto della musica) ma internet, libri, Mp3 e cellulari sono sempre al primo posto in quanto a soddisfazione ottenuta dall’uso».