L’assemblea generale del 30 giugno ha sancito la chiusura del primo triennio di vita associativa di Italia Startup, inaugurando il successivo, che parte dal motto identificato dal suo nuovo presidente, Marco Bicocchi Pichi: “Rendere innovative le grandi imprese, rendere grandi le imprese innovative”. Tre anni di grande lavoro, che hanno costruito l’intera impalcatura istituzionale basata sul decreto crescita e la legge 221, quella che ha messo in primo piano una parola che prima del 2012 era semisconosciuta: startup.
Già la sola vista di tante persone all’assemblea è la dimostrazione plastica di quanto sono cambiate le cose da quando si è cominciato a pensare a una legge per le nuove imprese innovative. All’epoca c’erano fondamentalmente sei persone (Barberis, Carcano, Mariani, De Biase, Pozzi e Riccardo Donadon, primo presidente), con la mission di creare una task force per realizzare quello che poi sarebbe diventato Restart Italia. I temi erano la policy da adottare, il supporto ai governi, definire una struttura.
Una nuova assemblea di Italia Startup per scrivere un nuovo capitolo dell'Associazione pic.twitter.com/FsVsqrghqc
— InnovUp (@INNOVUPnet) June 30, 2015
Oggi Italia Startup ha un nuovo direttivo di 30 consiglieri, è molto inclusivo rispetto a tutte le realtà dell’ecosistema startup italiano – aziende, incubatori, investitori, abilitatori – e questo grazie a diversi passaggi, il primo dei quali, il più importante, furono gli Stati Generali del 2014, quando l’associazione capì di avere bisogno di ampliare gli scopi e migliorare la governance.
Tutti questi passaggi sono stati raccontati dal presidente uscente nella sua presentazione. Riccardo Donadon torna ad essere soltanto (per modo di dire) il fondatore di H-Farm, lo straordinario incubatore di Roncade che insieme agli altri anche nei prossimi anni continuerà a rappresentare un punto di osservazione rimarchevole per comprendere la direzione di questo movimento fatto di impresa e di pianificazione industriale a livello politico.
Intervista a Riccardo Donadon
Donadon, ha visto e approvato le linee guida di Bicocchi Pichi: che contributo ci sarà nei prossimi tre anni?
Credo che per il bene dell’associazione fosse venuto il momento di trovare un presidente super partes. Non che io non abbia cercato sempre di tenere fuori il mio ruolo in H-Farm rispetto a Italia Startup, ma lui farà senz’altro un ottimo lavoro proprio in quel senso di inclusività messa in marcia l’anno scorso.
Si può dire che lei ha fatto la startup di Italia Startup?
In effetti è così. E sono orgoglioso e felice.
In Italia si dice spesso che c’è tanta ricchezza ma non si fa mai sistema. Sulle startup si è tentati di affermare il contrario: si è fatto subito sistema, e bene, però poi se si guardano i numeri c’è poca “ciccia”: equity, investimenti di altre imprese, credito, sono molto bassi. Corrisponde al vero?
È assolutamente vero. D’altra parte è più facile creare un gruppo, aggregarsi quando ci sono le difficoltà. Quando il gruppo è creato, e ci si fa forza, però le difficoltà permangono. In Italia si muovono ancora pochi capitali, anche se negli ultimi tre anni qualcosa è cambiato.
A proposito di capitali, ha molto colpito il suo tweet nel quale, rispondendo al professor Maffè durante una conversazione sulle startup, ha considerato le cifre americane ancora basse: ma che modello si dovrebbe trovare per sostenere le startup?
@carloalberto @fedebarilli @corinnovazione del tutto d'accordo è per questo che va tolto alibi finanza se idea vale ci devono essere soldi
— riccardo donadon (@rdonadon) July 1, 2015
Il mio punto di vista è che non stiamo ancora parlando delle cifre giuste. Si è imparato a dare incentivi a tutti, e questo non è un male, ma credo sia più importante dare tanto al momento giusto. Se il sistema paese nota una realtà davvero promettente, bisogna investire denaro, anche 50 milioni di euro, perché la competizione internazionale è su queste dimensioni.
Il contributo di pensiero che l’ha contraddistinta da subito è l’idea che le startup debbano digitalizzare le imprese italiane di eccellenza che hanno bisogno di rinnovarsi invece di creare solo imitazioni delle idee digitali californiane. “Non un altro Facebook”, disse a un convegno, “ma fashion, food, e tutto quanto le imprese italiane sanno fare bene per tradizione”. Questo ha a che vedere con la mai abbastanza raccomandata Digital Transformation. H-Farm, in questo senso, ha acquisito Nuvò…
Conosco bene Cristina Mollis, che ha una bella storia imprenditoriale, una particolare formazione di consulenza applicata. La trasformazione digitale dell’impresa è uno spazio enorme che aspetta i ragazzi, i quali spero lo capiscano. Nella parte “alta” siamo a posto: abbiamo ottimi esempi di società che si occupano di digitale nel marketing, nella reputation, nel Crm (customer relationship management). La parte bassa, invece, quella “pesante” dei processi, è il nostro punto debole. Ci sono agenzie di consulenza, ma è un modello che non fa implementazione nelle aziende, mentre le startup possono farlo.
Dunque è questo il suggerimento di Donadon agli startupper?
Uno dei tanti, ma sì: guardare alla parte bassa delle aziende, meno visibile.