Una ricerca (PDF) pubblicata da Eurostat pone l’Italia nelle retrovie per quanto concerne la classifica dell’accesso ad Internet della popolazione. Il divario digitale emergente è frutto della sinergia tra una consolidata mancanza di infrastrutture adeguate ed una atavica mancanza di cultura digitale, ma i adti odierni non possono far ben sperare per il futuro del paese nel settore.
L’ANSA offre una propria lettura generale ai dati relativi ad aziende ed abitazioni: «l’Italia esce male dal raffronto con la media Ue: si connettono a Internet almeno una volta la settimana il 34% degli uomini italiani (a fronte del 49% nell’Ue), il 23% delle italiane (contro il 38% delle europee) e il 66% degli studenti della penisola (a fronte del 79% dei loro coetanei in Europa)». L’Italia ha una penetrazione pari a quella dell’Estonia, dunque, anche se rispetto al paese ex-sovietico ha percentuali minori circa il comportamento della popolazione dotata di broadband. Ancor più grigi i dati relativi all’e-commerce, con numeri limitati a poche unità percentuali.
L’Europa del nord (Norvegia, Svezia, Olanda, Danimarca) è quella che alza la media del vecchio continente, mentre l’Europa latina (Italia, Spagna, Grecia) è quella con il maggiore handicap. Non a caso è ancora l’area nordica a godere delle maggiori percentuali di penetrazione della banda larga con percentuali assolutamente superiori all’area meridionale (1% della Grecia contro il 40% della Svezia, quest’ultima peraltro prima per quanto concerne la penetrazione del broadband in ambito aziendale: 57% l’omologo dato italiano).
Secondo i dati individuali ad usare Internet in Italia almeno una volta a settimana sono appena 28 persone su 100, il 66% dei quali studenti. Più alta, con differenza rilevante, lo sbilanciamento delle statistiche in favore della popolazione maschile. Il 62% degli italiani ha mai visto né usato il web e ne ignora presumibilmente pertanto potenzialità, servizi e struttura. La media europea è in questo caso del 43%, il 19% in meno: a 24 ore dal lancio del dominio europeo .eu (in cui l’Italia ha importante voce in capitolo grazie al consorzio Eurid) i dati italiani non possono che considerarsi allarmanti.