Nel surreale consesso di Dubai, le delegazioni politiche del mondo discutono da tre giorni (lo faranno fino al 14 dicembre) di una lunga serie di questioni riguardo alla Rete e i suoi standard. Molte proposte sono nate nelle stanze segrete dell’ITU, ma ogni volta che escono allo scoperto è la Rete stessa a criticarle fortemente. È il caso della Deep Packet Inspection (DPI), una proposta frutto del lavoro di un gruppo ristretto che verrà messo all’attenzione del WCIT. Il suo obiettivo è permettere agli ISP (Internet Service Provider) di gestire il servizio in modo più efficiente, ma il nuovo standard, dal nome burocratico di Y.2770, sembra più preoccupato di definire gli strumenti di analisi dei provider che non garantire la sicurezza della privacy.
Per comprendere meglio quello che sta accadendo, è necessaria una premessa: l’ITU è un organismo nato in seno all’ONU che da più di sessant’anni si occupa di promuovere gli standard per le telecomunicazioni, ma fino ad oggi non l’aveva mai fatto per Internet, che com’è noto ha una sua genesi, più spontanea nei suoi aspetti economici e sociali rispetto alle precedenti tecnologie. Il malcelato obiettivo dell’ITU è sostituirsi all’ICANN, la struttura che dal 1998, su suggerimento degli Stati Uniti, gestisce la Rete. Secondo molti di coloro che la usano e la abitano, meglio di quanto potrebbe fare un organismo sovranazionale come l’ITU, che in più occasioni ha mostrato scarsa trasparenza.
La proposta sulla DPI dà man forte ai suoi critici, perché nonostante non sia ancora stata pubblicata, le indiscrezioni raccolte da TechDirt dicono di un documento che prefigura i requisiti per l’ispezione profonda degli IP creando uno standard che sembra il sogno di tutti gli spioni di Stato:
Questi standard tecnologici potrebbero dare a governi e imprese la possibilità di vagliare tutto il traffico di un utente Internet – tra cui mail, transazioni bancarie, chiamate vocali – senza adeguata protezione della privacy. La mossa suggerisce che alcuni governi sperano in un mondo dove anche le comunicazioni criptate potrebbero non essere al sicuro da occhi indiscreti.
L’ITU, da par suo, cerca in tutti i modi di promuovere il suo punto di vista, esemplificato in una infografica intitolata Building Block for an Internet Age che si basa su un concetto condivisibile, di per sé: con 81 exabyte di traffico mensile entro il 2016, la Rete è destinata a crollare sotto il suo stesso peso senza forti ristrutturazioni. Ma in quale senso?
Qui le risposte sono differenti, e sull’argomento si stanno spaccando enti prima di oggi abbastanza vicini come l’IETF e il W3C, coinvolti in questi lavori ma al contempo attivatisi in integrazioni agli standard che piacciono ad alcuni governi (la Germania, ad esempio, già in settembre ha rigettato l’idea stessa che l’ITU dovesse occuparsi di questo specifico tema), mentre ad altre nazioni no. Insomma, un pasticcio globale, nel quale i paesi europei stanno mostrando di seguire le raccomandazioni di Bruxelles, fortemente critica su tutto l’impianto della conferenza.
Che la montagna partorisca un topolino è un’ipotesi sempre più accreditata, e forse a questo punto anche auspicabile.