Negli ultimi giorni si è potuto assistere ad una sostanziosa serie di articoli ed editoriali dedicati ad un pericolo incombente su Apple: la caduta di iTunes. Questa teoria non avrà riscontri nell’immediato, ma è semplicemente un’ipotesi legata ad un braccio di ferro che proprio nella scaramuccia mediatica svilupperà il tira e molla tra major della discografia e Steve Jobs, il rivoluzionario padre della musica digitale. E mentre si stempera diffuso il sentore di una battaglia volta ad avere il coltello dalla parte del manico, la sensazione è quella che nessuno dei due intenda puntare seriamente il coltello contro l’altra parte, ma in realtà trattasi solo di una battaglia per avere la fetta più grande di una torta in continua ed esponenziale crescita.
Poco più di due anni fa nacque il sodalizio che ha portato alla rivoluzione targata iTunes. In questi mesi le major si sono strette alla musica digitale per risollevare le sorti di un mercato soffocato da una politica dei prezzi ormai vetusta, mentre per contro iTunes si è affidato al patrimonio artistico delle major per lanciare la propria rivoluzione e portare la mela di Cupertino ad una notorietà senza precedenti. La querelle odierna e futura nasce in previsione della scadenza che, di qui a un anno, porterà nuovamente Apple e major attorno ad un tavolo per ridefinire gli accordi e gli equilibri economici che sottendono al regime dei prezzi applicato da iTunes.
Apple, ovviamente, vorrebbe mantenere il regime attuale per continuare a far crescere un modello dimostratosi vincente. I 99 centesimi dovrebbero dunque essere confermati come una sorta di standard (inferiore alla soglia psicologica di 1 Euro) tale per cui chiunque intenda acquistare musica possa sapere a priori a quale costo andrà incontro. Le major, per contro, vorrebbero se non altro rendere maggiormente flessibile tale soglia ottenendo prezzi maggiori per i titoli di grido dell’ultim’ora (+50%) ed eventualmente abbassando sensibilmente i costi per brani meno diffusi o più vetusti. In tal senso il modello potrebbe essere ulteriormente ridefinito e basanto in modo ponderato proprio sulle diverse caratteristiche della natura della domanda (età del brano, popolarità del brano, eccetera). Le major lamentano in particolare il fatto che i margini di guadagno per i download da iTunes siano troppo risicati e per le stesse l’affare non sarebbe così soddisfacente come si potrebbe evincere dai crescenti numeri del mercato del settore.
Da parte loro le etichette della produzione hanno due assi nella manica da sfoderare al tavolo delle trattative. Innanzitutto i marchi titolari della produzione musicale ben sanno che tutto il regno di iTunes si regge totalmente su un preziosissimo archivio non di proprietà. L’archivio ha dunque un proprio valore ed ognuna delle sorelle della produzione potrà contrattare singolarmente con Apple per discutere dei diritti su tale patrimonio (favorendo eventualmente music store concorrenti quali Napster, o Rhapsody, o MSN Music Store, o comunque tutto il mondo gravitante attorno al DRM di casa Microsoft). Inoltre le major ben sanno che gran parte degli introiti Apple non giungono tanto da iTunes, quanto da iPod: il margine su iTunes è risicato anche per Apple, ma essendo i file acquistati ascoltabili solamente dal lettore Apple diventa automatico l’effetto traino che ha portato vicendevolmente al successo sia il prodotto hardware che il music store. Apple non si presenta però disarmata alla trattativa, anzi. Steve Jobs è al corrente dei problemi del mercato musicale tradizionale, sa di aver lanciato una rivoluzione che ormai neppure una rottura potrà fermare, e dunque potrà sedersi al tavolo conscio di aver pesantemente influito sui margini delle major e con la consapevolezza di poterlo fare anche in futuro.
iTunes chiede semplicemente di continuare come si è fatto finora: prezzi fissi e accordi immutati, fin che la barca va lasciala andare. Le major vorrebbero invece destabilizzare un equilibrio nel quale Microsoft e Apple sembrano i nomi che più di ogni altro traggono profitto dalla rivoluzione avviata. In particolare le etichette potrebbero chiedere l’apertura dei file alla piena compatibilità con altri lettori alternativi al solo iPod: Apple ne perderebbe una posizione di vantaggio acquisita, mentre una maggiore diffusione della musica (logica conseguenza dell’apertura delle compatibilità) gioverebbe alla parte che basa il proprio lucro sul margine ottenuto dalla vendita dei brani: le major.
Una eventuale rottura avrebbe effetti catastrofici per entrambe le parti. iTunes vedrebbe morire la propria offerta e con essa, conseguentemente, la domanda. iPod non godrebbe più del traino e la clientela interessata potrebbe tornare nel disorientamento precedente passando alternativamente o a prodotti concorrenti (con il polo Microsoft in prima linea a cogliere l’occasione) o a quel P2P progressivamente abbandonato in favore del faro iTunes. Inutile tentare di sopraffare la controparte: il ragionamento deve essere nei termini di un sistema win-win nel quale guadagnano tutti o nessuno. Se l’utenza si disabituasse all’idea (tanto difficilmente imposta) di acquistare musica digitale, la rivoluzione cadrebbe, vuota, su se stessa: dicesi, con accezione negativa e sfumature dispregiative, «bolla».
La sensazione, insomma, è quella di un braccio di ferro nel quale probabilmente nessuno/tutti vincerà/vinceranno, ma nel quale entrambe le parti vogliono far sentire la propria forza e se non altro tentare di imporre i propri interessi. Un equilibrio dinamico, insomma, ed un coltello tenuto a due mani dalla parte del manico. Se è vero che l’amore lo si fa in due, alla fin fine l’accordo sarà cosa scontata. I contenuti dello stesso, invece, lo sono sicuramente di meno ed in questo avrà voce in capitolo anche qualche influente terzo incomodo.