iTunes Match è finalmente arrivato in Italia, dopo tanti mesi d’attesa e solo dopo il lancio già avvenuto in molte nazioni del globo, alcune addirittura in via di sviluppo. Perché l’Italia è stata inserita nel carrozzone dei meno meritevoli? Si è parlato di problemi negli accordi con le case discografiche, di possibili incomprensioni con la SIAE e di molto altro ancora, ma finalmente è giunto il momento di lasciarsi queste polemiche alle spalle.
Il servizio, lanciato contestualmente anche in Grecia, Portogallo, Australia, Bulgaria e Slovenia, prevede un costo d’abbonamento annuo di 24.99 euro e permette di accedere ai propri brani musicali su qualsiasi device targato Mela in possesso, sfruttando la nuvola di Apple.
Il funzionamento è decisamente semplice: iTunes Match controlla quali brani siano disponibili sull’hard disk dell’utente e ne cerca le corrispondenze nell’immensa libreria di iTunes Store. A questo punto, l’utente può riprodurre gli stessi brani su tutti i dispositivi in suo possesso, come un iPhone o un iPad, godendo però della qualità superiore in AAC a 256 kbps e sfruttando lo streaming messo a disposizione da iCloud. In altre parole, viene creato un elenco onnicomprensivo dei brani sul computer in uso, ma in riproduzione remota non finiranno le tracce fisicamente ospitate sull’hard disk dell’utilizzatore, bensì le loro versioni ufficiali e di alta qualità ospitate sui server di Cupertino. Le canzoni di cui non esiste una corrispondenza su iTunes Store, infine, possono essere direttamente uplodate su iCloud, fino a un massimo di 25.000.
iTunes Match, di cui parte degli introiti serviranno a pagare le royalties delle case discografiche e dei detentori dei diritti, non è unicamente compatibile con brani già in precedenza acquistati su iTunes. I file possono essere stati comprati da servizi concorrenti, creati a partire da un supporto ottico come un CD o addirittura scaricati da fonti anomale della Rete, considerato come il servizio di Apple sincronizzi senza battere ciglio anche il materiale piratato. Quest’ultima azione, tuttavia, è a rischio e pericolo dell’utente: Apple non sembra essere interessata a comunicare a terzi l’eventuale presenza di file scaricati illegalmente, così come non sembrano nemmeno interessate a farlo le case discografiche, più attratte dalla loro porzione di guadagno sugli abbonamenti annuali. Ma non è possibile stabilire a priori se la situazione non sia destinata a subire cambiamenti: cosa potrebbe succedere se una legge, in futuro, dovesse obbligare Apple a svelare dati sensibili sugli utilizzi di musica dei propri clienti?