Il licenziamento di James Damore, autore di quello che ormai è noto a livello globale come un manifesto anti-diversità (“Google’s Ideological Echo Chamber”) circolato internamente a Google, rischia di trasformarsi nell’input per innescare una discussione pubblica su un tema che il gruppo di Mountain View vorrebbe invece mantenere privato o quantomeno gestire entro i confini dei propri uffici.
Una questione delicata
Che la questione fosse delicata lo si è capito immediatamente, fin da quando si è parlato di un numero non trascurabile di dipendenti in accordo con la visione di Damore: le differenze tra uomini e donne in termini di compensi e ruoli ricoperti non sarebbero da attribuire a pratiche sessiste o a discriminazioni di alcun tipo, bensì a presunte differenze biologiche. Un’affermazione di certo discutibile, ma pur sempre frutto di un’opinione personale: è questo che ha spinto una voce autorevole come quella di Julian Assange a prendere posizione e a parlare senza mezzi termini di “censura”, spingendosi oltre e offrendo all’ex ingegnere di bigG un lavoro in WikiLeaks.
1/ Censorship is for losers. @WikiLeaks is offering a job to fired Google engineer James Damore. https://t.co/tmrflE72p3
— Defend Assange Campaign (@DefendAssange) August 8, 2017
Una faccenda estremamente complessa, che sta mettendo in luce un aspetto di Google al quale non siamo abituati, una certa difficoltà nel gestire la comunicazione e il flusso di informazioni. Lo dimostra l’improvvisa e tardiva cancellazione dell’incontro sulla vicenda prima indetto da Sundar Pichai e poi cancellato in tutta fretta dallo stesso CEO a pochi minuti dall’inizio. Il motivo? I dati personali e le risposte a un questionario condivisi internamente sulla vicenda da alcuni dipendenti attraverso il tool Dory Q&A sono stati diffusi pubblicamente, finendo in Rete. Tra le informazioni sensibili trapelate anche i nomi dei diretti interessati, che in alcuni casi si sono visti presi di mira. Questo l’inizio di una lettera firmata dall’amministratore delegato.
Oggi speravamo di poter intavolare una discussione aperta come facciamo sempre, così da poterci incontrare e andare avanti. Le domande del nostro strumento Dory sono però state diffuse esternamente e alcuni siti Web hanno riportato i nomi personali di diversi Googler, che ci hanno scritto preoccupati per la loro sicurezza e per ciò che sarebbe potuto accadere ponendo una domanda durante l’incontro.
Le difficoltà di Google
Se da un lato la decisione dipinge Pichai come un leader capace di operare scelte difficili in momenti delicati, assumendosene la responsabilità, dall’alto mette in evidenza qualche vulnerabilità nelle modalità di gestione della vicenda.
Riconoscendo la legittimità delle preoccupazioni espresse, dobbiamo fare un passo indietro e creare delle condizioni migliori per la discussione. Così, nei prossimi giorni, troveremo le occasioni giuste per incontrare e interagire con i Googler, dove le persone potranno sentirsi a loro agio e parlare liberamente. Condivideremo presto i dettagli.
In gioco c’è qualcosa di ben più grande rispetto alla discussione su un licenziamento per violazione del codice di condotta aziendale: c’è un’ombra che da più parti sembra allungarsi sulla libertà di parola e d’espressione, un rischio che Google non può correre. Il manifesto redatto da James Damore altro non è che la scintilla capace di innescare un dibattito inevitabilmente destinato ad attrarre polemiche e punti di vista differenti, che per quanto discutibili o condannabili un gruppo che ha fatto del freedom of speech la propria bandiera non può che considerare in ogni caso legittimi.