Jeff Bezos lo aveva detto: avrebbe recuperato sul fondo dell’oceano i motori dell’Apollo 11, la spedizione che portò Neil Armstrong, Michael Collins e Buzz Aldrin sulla Luna. Così ha fatto: il fondatore di Amazon ci ha investito su denaro proprio per realizzare un sogno che, ora, spera possa ispirare generazioni intere. Così come era successo a lui.
Jeff Bezos, a distanza di pochi mesi dalla promessa, è in grado di portare online i risultati della propria missione: i motori di propulsione dell’Apollo 11, la missione che ha portato l’uomo sulla Luna quando lo stesso Bezos aveva compiuto appena 5 anni, vedono di nuovo la luce dopo essere rimasti per decenni sul fondo del mare e potranno ora esprimere in un museo tutto il carico di immaginario e di simbologia che si portano appresso. Trattasi infatti dei motori F-1 con cui la missione Apollo 11 ha preso il via il 16 luglio 1969: una volta portata la navicella al di fuori dell’atmosfera, i motori esaurirono il loro compito ed il loro viaggio verso l’Universo venne interrotto per un sacrificio necessario: tornare sulla Terra, sprofondare nell’Oceano e lasciare che l’uomo ed il suo veicolo scrivessero una pagina fondamentale della storia.
Jeff Bezos, però, non ha dimenticato quei momenti e non ha dimenticato quei motori: troppo forte l’emozione, qualcosa da cui lo stesso Bezos ammette di aver ricavato un carico di ispirazione rivelatosi fondamentale negli anni a seguire, dagli studi ad Amazon, arrivando fino a Kindle. Un motore di energia che va ben oltre la propulsione meccanica, quindi, e che ora potrà continuare la sua opera andando ben oltre la sola missione per cui sono stati progettati. Una mano tesa al passato ed una al futuro: un tributo agli ingegneri che lavorarono al progetto ed un impulso ai giovani d’oggi affinché possano di nuovo trovare la via per rendere possibile l’impossibile.
Lo stress della partenza, le roventi temperature della combustione iniziale, una caduta dal cielo a 5 mila miglia orarie, l’impatto con il mare, lunghi anni ad oltre 4200 metri di profondità: i motori F-1 hanno dovuto sopportare tutto ciò prima che la spedizione di Bezos operasse il recupero. Le immagini testimoniano comunque dei rottami in buono stato di conservazione, ai quali l’usura ha cancellato alcuni codici identificativi senza tuttavia intaccarne il fascino (e se il fascino non fosse abbastanza, il ritrovamento sarebbe firmato dal medesimo ricercatore che ha già avuto un ruolo di primo piano nell’esplorazione sottomarina del Titanic).