Kim Dotcom rimarrà agli arresti. La sua prima comparsa di fronte alla Corte è infatti servita per confermare il fermo, ma al tempo stesso il giudice incaricato David McNaughton ha evidenziato quanto delicata sia la situazione e quanta cautela intenda pertanto adoperare nella gestione di un caso tanto spinoso.
Le autorità non hanno dubbi in proposito: liberare Kim Dotcom in questa fase sarebbe una mossa estremamente pericolosa. In mano il proprietario di Megaupload e Megavideo ha infatti ancora vari domini e forti risorse per investire, creando sicure situazioni di pericolo. La difesa respinge tuttavia tali possibilità, spiegando che l’imputato non avrebbe alcuna intenzione di riavviare le attività fermate dalle autorità.
Il giudice ha deciso di confermare il fermo, ma si riserva la possibilità di invertire la propria decisione nel giro dei prossimi giorni. Vari infatti i capi d’accusa da tenere in considerazione, con la detenzione di armi illegali non secondaria ai fatti ben più noti legati alla pirateria online. Sebbene al momento i temi non siano ancora stati approfonditi del tutto, qualcosa è però comunque già trapelato e, oltre a ribadire la propria innocenza, Kim Dotcom starebbe cercando di far passare anche il proprio impegno in favore della lotta alla pirateria. Forti capitali, infatti, sarebbero stati investiti per dialogare con le major e consentire a queste ultime di rimuovere file illegali dal sito, ma la verità dei fatti racconta un’altra storia. E soprattutto narra di un finale fatto di manette, sequestri e proteste.
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Emergono inoltre nuovi dettagli relativi allo spettacolare arresto di Kim Dotcom presso la sua lussuosa abitazione nei pressi di Auckland: la fuga per nascondersi dalle autorità sarebbe stata dettata da semplice paura e le armi trovate nell’abitazione non sarebbero mai state usate né vi sarebbe stato alcun cenno di resistenza. L’incursione sarebbe stata inoltre organizzata con una visita anticipata di un singolo agente il quale, con una scusa, si sarebbe infilato nell’abitazione con tanto di telecamere nascoste per organizzare al meglio l’operazione.
La difesa nega anche le accuse relative alle varie carte di credito conservate, peraltro spesso sotto alias e con falsa identità: la spiegazione legata ad un semplice “collezionismo” non sembra convincere, così come le altre argomentazioni fin qui presentate.