La censura cinese ferma anche LinkedIn

LinkedIn è stato bloccato in Cina per mezzo della censura del regime. Il blocco sarebbe causato dai tentativi di organizzare proteste antigovernative.
La censura cinese ferma anche LinkedIn
LinkedIn è stato bloccato in Cina per mezzo della censura del regime. Il blocco sarebbe causato dai tentativi di organizzare proteste antigovernative.

La scure della censura in Cina si scaglia anche contro LinkedIn? Diverse fonti hanno iniziato a segnalare il blocco che ha colpito il noto social network. Le prime segnalazioni sono giunte proprio dagli utenti cinesi del network, i quali nelle ultime ore hanno avuto ripetute difficoltà ad accedervi.

Le segnalazioni si sono diffuse tramite Twitter e confermano il blocco, testimoniandolo tramite screenshot: LinkedIn sembra inaccessibile anche tramite proxy, utilizzati nel tentativo di aggirare il Grande Firewall Cinese. Non è la prima volta che si segnalano blocchi a siti di varia natura, i più famosi dei quai sono Twitter, Facebook e Google. Mai, però, la cosa aveva coinvolto un social network particolare come LinkedIn.

Il motivo di questo blocco sarebbe il tentativo di organizzare proteste antigovernative proprio attraverso LinkedIn. Incredibilmente, il tutto sembra originato da una semplice discussione di tale “Jasmine Z” con cui si è dibattuto sulla possibilità per cui la rivolta africana possa risollevare lo spirito rivoluzionario nel popolo cinese: tanto è bastato per consigliare alle autorità la chiusura dell’intero network.

Il presidente Hu Jintao e il capo della sicurezza interna, Zhou Yongkang, si sono pronunciati circa il rafforzamento della supervisione su Internet, e questo nonostante la Cina sia già in possesso di sistemi estremamente avanzati per la censura online. Le preoccupazioni maggiori dei funzionari cinesi provengono soprattutto dai servizi di microblogging, inesistenti fino a pochi anni fa, ma particolarmente utilizzati oggi.

Ma il controllo non si limita solo alla censura dei siti o di particolari termini diffusi su Internet: recentemente il lancio di un nuovo motore di ricerca per l’agenzia ufficiale Xinhua e la creazione di China Mobile Ltd. (un gigante delle telecomunicazioni a regime di controllo) vanno pensati infatti proprio in questa direzione.

Ad essi si aggiungano Panguso.com e Goso.cn, motori di ricerca creati dal governo per mostrare risultati di ricerca filtrati. Per esempio, Panguso è molto simile a Google e a Baidu (il motore di ricerca dominante sul territorio cinese), ma ha un livello di filtraggio più elevato: effettuando una ricerca con il termine “Liu Xiaobo”, ovvero il dissidente cinese che ha vinto il Premio Nobel per la pace, il sito non mostra risultati, ma un semplice messaggio come “Spiacenti, non sono stati trovati risultati di ricerca pertinenti”.

Facendo la stessa ricerca su Baidu si ottengono quasi 926.000 risultati: il motivo di questo doppio sistema di filtraggio è per prevenire grandi proteste sociali o organizzate via internet. Ma la consapevolezza dell’utenza cinese cresce di giorno in giorno, così come aumentano i sistemi per aggirare i blocchi e, infine, la frustrazione per le difficoltà incontrate.

Il vento africano sta soffiando anche in Cina e le tensioni sociali sono in aumento: la risposta del regime parte da Internet con una censura organizzata e capillare avente l’obiettivo di fermare sul nascere ogni tentazione insurrezionale.

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