In occasione della XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Papa Benedetto XVI è tornato su un argomento spinoso che la Chiesa non ha però mai avuto il timore di affrontare: la comunicazione sui nuovi media ed il rapporto tra i media stessi e la società. La Chiesa ha infatti più volte incoraggiato i propri stessi membri ad abbracciarne coraggiosamente l’utilizzo sottolineando la funzione evangelica che può ricoprire, ma al tempo stesso ha più volte ammonito circa gli usi distorti a cui una errata comprensione dello strumento potrebbe portare.
Le parole del Santo Padre vanno ancora una volta in questa direzione: «Si prospettano traguardi fino a qualche tempo fa impensabili, che suscitano stupore per le possibilità offerte dai nuovi mezzi e, al tempo stesso, impongono in modo sempre più pressante una seria riflessione sul senso della comunicazione nell’era digitale. Ciò è particolarmente evidente quando ci si confronta con le straordinarie potenzialità della rete internet e con la complessità delle sue applicazioni. Come ogni altro frutto dell’ingegno umano, le nuove tecnologie della comunicazione chiedono di essere poste al servizio del bene integrale della persona e dell’umanità intera. Se usate saggiamente, esse possono contribuire a soddisfare il desiderio di senso, di verità e di unità che rimane l’aspirazione più profonda dell’essere umano».
Ecco dunque una prima importante indicazione relativa alla parzialità ed ai limiti della comunicazione digitale:
Nel mondo digitale, trasmettere informazioni significa sempre più spesso immetterle in una rete sociale, dove la conoscenza viene condivisa nell’ambito di scambi personali. La chiara distinzione tra il produttore e il consumatore dell’informazione viene relativizzata e la comunicazione vorrebbe essere non solo uno scambio di dati, ma sempre più anche condivisione. Questa dinamica ha contribuito ad una rinnovata valutazione del comunicare, considerato anzitutto come dialogo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive. D’altro canto, ciò si scontra con alcuni limiti tipici della comunicazione digitale: la parzialità dell’interazione, la tendenza a comunicare solo alcune parti del proprio mondo interiore, il rischio di cadere in una sorta di costruzione dell’immagine di sé, che può indulgere all’autocompiacimento.
L’analisi è inoltre dettagliatamente contestualizzata, facendo esplicito e diretto riferimento al mondo dei social network come enorme opportunità dietro la quale potrebbe nascondersi un insidioso rischio:
Il coinvolgimento sempre maggiore nella pubblica arena digitale, quella creata dai cosiddetti social network, conduce a stabilire nuove forme di relazione interpersonale, influisce sulla percezione di sé e pone quindi, inevitabilmente, la questione non solo della correttezza del proprio agire, ma anche dell’autenticità del proprio essere. La presenza in questi spazi virtuali può essere il segno di una ricerca autentica di incontro personale con l’altro se si fa attenzione ad evitarne i pericoli, quali il rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo, o l’eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ricerca di condivisione, di “amicizie”, ci si trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire artificialmente il proprio “profilo” pubblico.
Chi è il “prossimo”? Essere più presenti nel virtuale rischia di isolarci nel reale? La frammentazione della nostra attenzione può diventare distrazione? La rapidità degli scambi e la loro modalità rischia di rendere tutto superficiale? La Chiesa pone alcuni interrogativi ed offre una risposta di fondo: il Web è un bene prezioso, ma va utilizzato nella consapevolezza della sua natura e delle sue caratteristiche. Nella consapevolezza, soprattutto, delle motivazioni che possono spingere “noi” o “gli altri” a comunicare cose particolari in modi particolari. Per questo proprio il messaggio del Vangelo diventa un esempio lampante di ciò che la Chiesa intende: «Anzitutto dobbiamo essere consapevoli che la verità che cerchiamo di condividere non trae il suo valore dalla sua “popolarità” o dalla quantità di attenzione che riceve. Dobbiamo farla conoscere nella sua integrità, piuttosto che cercare di renderla accettabile, magari “annacquandola”. Deve diventare alimento quotidiano e non attrazione di un momento».
La comunicazione degli slogan potrebbe infatti arrivare al proprio climax proprio nel momento in cui i tempi si fanno brevi, la comunicazione viene atomizzata e la fruizione si fa frammentata. Ma la bontà del messaggio è data sempre e comunque dal modo in cui sa approfondire, andando alla sostanza ed evitando le illusioni e le tentazioni del superficiale.