Il grido di allarme è arrivato sabato scorso (26 maggio) dalla mailing list italiana che riunisce gli sviluppatori di Freenet. Eccolo: “Il governo cinese, che peraltro limita pesantemente da sempre l’accesso ad Internet, sta censurando *attivamente* la diffusione di Freenet tra la sua popolazione. Questa censura e’ realizzata con il reinvio sistematico al mittente di qualunque messaggio contenga la parola “Freenet” e con il blocco degli accessi ai siti relativi, a cominciare da freenet. Chi fosse contrario, e volesse aiutare coloro che desiderano sviluppare Freenet in questo paese, puo’ realizzare *creativamente* mirror dei sorgenti o del sito, in modo da rendere difficile la censura. Vi prego di realizzare i mirror in *inglese* per ovvi motivi, di mantenerli aggiornati, e di mascherare i riferimenti a Freenet nel mirror, come raccomanda Ian Clarke nel suo messaggio originale. Suggerimenti piu’ creativi ed efficaci sono ovviamente bene accetti, e dovrebbero essere inviati anche alla lista di discussione su Freenet
La Cina non è affatto nuova ad iniziative del genere, basti pensare che non molto tempo fa a Pechino sono stati chiusi tutti gli internet café esistenti nella principale strada della città e nei pressi degli edifici governativi e scolastici, con il fine dichiarato di controllare ancora meglio la libera navigazione sul Web. Né si tratta dell’unico paese al mondo ad aver attaccato con determinazione la libera navigazione in Rete. Ultimamente, sembra che questa sia diventata l’occupazione preferita di tutti i governi autoritari e repressivi sparsi in giro per il mondo. La novità è semmai un’altra, e cioè che tra i nemici dichiarati ormai rientra anche Freenet, il sistema di file sharing che ha come esplicita finalità raggiungere e mantenere la più totale libertà nello scambio delle informazioni online.
Freenet è un software elaborato dal ventitreenne Ian Clarke, (un informatico irlandese che opera all’interno della vasta comunità di sviluppatori Linux e dell’Open Source Iniziative) e consente di trasferire file di ogni genere da un pc all’altro godendo del più totale anonimato, grazie all’utilizzo di una serie di tecniche crittografiche che rendono impossibile identificare e rintracciare origine e destinazione delle transazioni. Potenzialmente, quindi, si tratta di uno strumento rivoluzionario in grado di far tremare anche i consolidati interessi economici del “civilissimo Occidente”, figurarsi un regime come quello cinese.
La notizia fa rabbia, indubbiamente. Eppure si tratta di un fatto largamente prevedibile. La Cina in fondo è un paese dove l’uso della rete (come di ogni altro organo d’informazione) è esplicitamente e legalmente sottoposto ad un rigido controllo statale. Era dunque difficile che potesse tollerare a lungo il libero accesso a un sito che si apre con queste parole di Mike Godwin: “Mi preoccupo continuamente della mia bambina e di Internet, anche se è ancora troppo piccola per potersi connettere. Ecco cosa mi preoccupa. Mi preoccupa il fatto che fra 10 o 15 anni, lei verrà da me e mi dirà: Papà, dov’eri quando hanno tolto la libertà di parola in Internet?”