Google attacca, la Cina risponde. Dopo le denunce provenienti da Mountain View in cui venivano citate azioni di sabotaggio nei confronti di GMail da parte del Governo cinese, quest’ultimo respinge le accuse al mittente dimostrandosi indignato per quanto pubblicato. «Un attacco inaccettabile» tuona da Pechino il Ministro degli Esteri Jiang Yu, che chiama così fuori dalla vicenda il proprio Paese.
Nei giorni scorsi numerosi utenti cinesi hanno registrato una serie di disservizi con i propri account, con email impossibili da inviare e problemi durante la navigazione all’interno dei messaggi già ricevuti. Dopo aver controllato l’eventuale presenza di malfunzionamenti all’interno della propria infrastruttura, Google ha replicato evidenziando come il servizio fosse in realtà pienamente funzionante: i disservizi, secondo Mountain View, sono stati la diretta conseguenza di azioni provenienti dall’esterno con lo scopo di sabotare gli account.
Dietro tali attacchi si cela una motivazione prettamente politica: molti degli utenti coinvolti appartengono infatti ad uno dei principali movimenti di protesta attualmente attivi in Cina. I dissidenti, che portano avanti quella che chiamano la “Jasmine Revolution“, utilizzano infatti il web come canale di comunicazione principale, con strumenti quali Twitter o la posta elettronica utilizzati per coordinare le azioni di protesta. Il Governo cinese potrebbe dunque aver deciso di rubare informazioni ai rivoltosi accedendo alle rispettive caselle di posta elettronica e, contestualmente, impedendo loro di utilizzarle per restare in contatto con gli altri membri del gruppo di rivolta.
I rapporti tra Google e la Cina sono andati deteriorandosi a partire dal mese di gennaio 2010, quando il colosso delle ricerche denunciò un’intrusione del Governo cinese nei propri server, allo scopo di estrapolare informazioni riservate sia su utenti cinesi che sul servizio GMail. Lo scontro è ormai aperto ed i continui tentativi della Cina di sabotare GMail confermano ancora una volta come la Rete sia ormai uno dei mezzi di comunicazione maggiormente temuto, con molti Paesi pronti a giocare ogni carta nel proprio mazzo per difendersi da rivolte organizzate via web.