Chi di noi non si è mai cimentato nella collezione di oggetti più o meno tradizionali: francobolli, monete, sottobichieri. Google Street View invece preferiva le nostre password. Così almeno affermano i francesi del CNIL, Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés.
La storia si riferisce al già noto caso dei 600 GB “rubati” dalle auto di bigG, impegnate teoricamente a mappare e fotografare il territorio e di cui si stanno occupando i giudici di diversi paesi tra cui Italia, Francia e Germania.
Sul sito si parla di quanto successo, del lavoro svolto finora dalle varie magistrature aggiungendo un particolare di non poco conto, inquietante per chi utilizza quotidianamente la Rete: sembrerebbe infatti che tra i dati salvati ce ne fossero di molto sensibili, quali password e dati di login degli utenti, salvati sui dischi fissi di Mountain View.
Google recita il mea culpa ma afferma che, poiché c’era un continuo cambio di canale, era impossibile che venissero raccolti dei dati con una continuità tale da violare la privacy degli utenti. Dall’altra parte la commissione francese, che confuta la tesi di Google e sostiene che la lunghezza delle stringhe raccolte era sufficiente a salvare cronologia, dati di accesso e password e altri dati strettamente personali, costituendo così una violazione.
L’indagine è ancora in stato embrionale, le accuse formulate sono invece chiare: la società di Mountain View avrebbe violato la privacy di numerosi utenti e, cosa che renderebbe ancora più grave il reato, sarebbe di conseguenza in possesso di informazioni precise e georeferenziate, grazie al contributo determinante del GPS.
Che dire insomma: sperate di non aver inserito nel vostro computer dati sensibili quando il furgoncino di Google Street View è passato da casa vostra.