Il monito questa volta arriva dalla Commissione Europea, è esplicito ed in qualche misura guarda anche all’Italia: il digital divide non è più un fenomeno tollerabile nè tollerato. Nell’intera Unione Europea gli stati membri dovranno adeguarsi ad un’offerta standard che permette parità di accesso in ogni zona, per il bene della competitività, della crescita omogenea e dell’accesso alle fonti informative e culturali catalizzate dalla rete.
Le cifre parlano da sole: mentre in Danimarca il 37.2% della popolazione ha accesso alla banda larga, in Bulgaria la percentuale scende al 5.7%. Allo stesso modo il 33.1% dell’Olanda fa da contraltare al 6.6% della Romania. La media nell’UE è passata dal 14.9% al 18.2%, ma la disomogeneità di tale crescita crea ora situazioni di particolare difficoltà. «La crescita della banda larga resta forte e i paesi leader dell’UE sono diventati leader mondiali in materia di penetrazione della banda larga. Tuttavia è inaccettabile che lo scarto tra i primi e gli ultimi in Europa stia crescendo. L’Europa deve intervenire subito per far ordine al suo interno. Presenterò proposte specifiche in tal senso nell’ambito del nostro pacchetto di riforme della regolamentazione delle telecomunicazioni a novembre»: questa la secca sentenza emessa dalla Reding.
Particolarmente interessante è la causa che il commissario europeo vede dietro le situazioni di maggior difficoltà: una carente concorrenza mette al giogo l’innovazione ed impedisce alle reti di progredire con nuove e più performanti offerte. Se il discorso sembra essere rivolto soprattutto ad una attenuazione dei casi più estremi, non bisogna però dimenticare come l’Italia sia da tempo coinvolta in questo collo di bottiglia sotto entrambi i punti di vista: l’accesso alla banda larga risulta tutt’oggi inibito in vaste zone del territorio (soprattutto dell’Italia di provincia) ed il controllo di Telecom Italia sul settore (situazione espressamente ammessa dalla stessa AGCOM) risulta ancora e sempre da intralcio ad una omogenea crescita del mercato.
Anche in questo caso i numeri parlano chiaro: l’Italia, nonostante troppi protagonisti sbandierino risultati mirabolanti nella crescita dell’accesso alla banda larga, rimane al di sotto della media europea potendo vantare un poco lusinghiero 15.9%. Informazioni maggiori sono disponibili sull’apposito report (pdf) aggiornato messo a disposizione dalla Commissione Europea.
Il comunicato emesso dalla Commissione approfondisce anche un altro discorso che, pur non nominando mai direttamente l’Italia, interessa da vicino il nostro paese: «la Digital Subscriber Line (DSL) resta la principale tecnologia dell’UE a banda larga, con circa 72,5 milioni di linee. Tuttavia, la crescita della DSL è rallentata del 6,1% rispetto al luglio 2006, mentre è cresciuto l’uso di tecnologie alternative, come il cavo, la fibra ottica in casa, i wireless local loops (17,7 milioni di linee in totale). Nel settore degli abbonamenti alla DSL vi è stata un’intensa concorrenza, dimostrata dalla forte crescita dei prodotti disaggregati del local loop: il 55,4% di tutte le linee DSL degli operatori alternativi (17,6 milioni di linee) è pienamente o parzialmente disaggregato, rispetto al 45,9% nel luglio 2006. La rivendita (8,2 milioni di linee) resta un tipo importante di accesso a livello di mercato all’ingrosso, in particolare nello UK (dove il regolatore nazionale ha imposto una separazione funzionale, garantendo in tal modo che la rivendita abbia luogo in condizioni di non discriminazione) e in Germania (dove i rivenditori continuano a dipendere fortemente dalle condizioni fissate dall’operatore storico). La quota di mercato degli operatori alternativi in Europa ha continuato a crescere e ha raggiunto il 53,5% nel luglio di quest’anno. Tuttavia la quota di mercato dei nuovi operatori entrati nel mercato è solo del 44,3% se si esclude la semplice rivendita delle linee DSL degli operatori storici. Gli operatori alternativi investono altresì in misura crescente nelle proprie reti piuttosto che in servizi basati sull’infrastruttura degli operatori storici».
I grafici di maggior rilevanza per la situazione nostrana sono disponibili nell’apposita gallery (a fondo pagina). La quarta immagine, in particolare, evidenzia come nel nostro paese la crescita del broadband su linea fissa (di cui Telecom Italia è giocoforza maggior responsabile per vari fattori) vada particolarmente a rilento. Nota la cosa anche l’associazione Anti Digital Divide, che commenta: «non c’è molto da essere soddisfatti, basti osservare che la penetrazione della banda larga in Italia è inferiore alla media europea (Italia 15,9 – Eu27 18,2) e che la percentuale di nuove connessioni a banda larga in Italia è pari al 2.9%, contro il 4.4% della Francia e il 4.9% dell’Inghilterra: la percentuale italiana, quindi, risulta essere tra le più basse d’Europa. Non bisogna poi dimenticare che sulla penetrazione della banda larga incide anche la maggior percentuale presente in Italia di popolazione digital divisa, che non può sfruttare tale tecnologia. Quindi nonostante i (pessimi) progetti anti digital divide di Telecom Italia (con i dubbi sulla legittimità dell’uso dello stesso nome dell’associazione) e nonostante le dichiarazioni trionfali sulla diffusione della banda larga da parte dell’operatore dominante, l’Italia continua ad essere uno dei paesi europei a più alto digital divide, minor penetrazione di banda larga e pessimo rapporto prezzo/prestazioni dei servizi»
Se l’intervento della Reding si pone l’obiettivo di smorzare le situazioni di grave difficoltà presenti in taluni paesi dell’Unione, l’Italia non può sedersi sugli allori: nel nostro paese il digital divide grava su vaste zone dimenticate dall’incumbent e non ci si può quindi nascondere dietro un dito inglobando il tutto all’interno di statistiche nazionali di per se stesse descriventi una situazione generale che non raggiunge la sufficienza.