La dura vita dello stagista italiano

La dura vita dello stagista italiano

È necessario, per introdurre la tematica di questo articolo, offrire innanzitutto una definizione esatta di cosa sia uno stage in ambiente di lavoro: secondo la legge (d.m. 142/1998) non si tratta di un contratto lavorativo, pertanto esso non garantisce una retribuzione (se non in qualità di rimborso spese) oltre a non garantire il versamento di alcun contributo e a poter essere interrotto in qualsiasi momento, senza preavviso.

Abbiniamo questa definizione alla tristemente nota mentalità italiana, ed ecco che gli stagisti italiani risultano praticamente sfruttati, e tale modalità di ingresso nel mondo del lavoro è interpretata, invece, come una buona scappatoia per usufruire di manodopera a basso costo.

A rivelarlo è una recente inchiesta condotta da “Il Sole24Ore”, dalla quale vengono fuori dati molto interessanti.

Già, perché se negli ultimi dieci anni si è passati da 15.000 a 52.700 stagisti, dall’altra parte le assunzioni che hanno fatto seguito al periodo dello stage (per legge, pari ad un anno) sono passate dal 46,4% del 1998, al 26,5% del 2007.

A patire sono soprattutto i neolaureati, poiché solamente uno su cinque viene contrattualizzato dalla stessa azienda dove ha svolto attività di tirocinio.

Dati professionalmente spaventosi? Si, ma l’Italia vuole provare a cambiare. Ecco perché, attraverso il portale di “Repubblica degli Stagisti”, sarà possibile prendere parte ad un significativo sondaggio all’interno del quale ognuno potrà anonimamente raccontare la propria esperienza formativa. I risultati del sondaggio, online sino al 6 maggio, saranno pubblicati in autunno.

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