Il sensazionalismo eretto sulla sentenza sul P2P sembra essere l’unica vera notizia emersa dopo la decisione della Corte di Cassazione. Varie testate hanno dipinto la decisione stessa come una rivoluzione, come uno stravolgimento dei termini, mentre in realtà il tutto si è rivelato essere una semplice rilettura di fatti accaduti in passato, in un contesto legislativo diverso e fallace per definizione (in quanto profondamente variato in seguito).
Scaricare musica protetta era e rimane vietato. Era e rimane punibile. Era e rimane reato. La FIMI, Federazione dell’Industria Musicale Italiana, intende sottolineare la cosa con uno specifico comunicato: «organi di stampa hanno dato grande risalto alla sentenza […] che avrebbe stabilito che scaricare opere protette e condividerle non è reato nel caso in cui tali comportamenti siano commessi senza fine di lucro. La notizia è stata riportata in maniera distorta ed approssimativa in quanto la sentenza della Cassazione si riferisce alla normativa in vigore precedentemente alle modifiche legislative introdotte dalla Legge 248/2000, dal successivo recepimento della Direttiva Europea sul Copyright, nel 2003 e dal decreto legge Urbani nel 2004 e poi convertito in legge nel 2005. Si tratta di provvedimenti che hanno, in realtà, modificato in successione la legge 633/41 sul diritto d’autore».
Dal 1999 le leggi che regolamentano il settore sono cambiate non poco ed ogni fatto avvenuto oggi va commisurato alle nuove normative in vigore. Per questo motivo la FIMI prosegue dettagliando quello che, a differenza di quello del 1999, è l’attuale quadro di riferimento: «chi scarica semplicemente rischia una sanzione amministrativa, quella prevista dall’art. 174-ter l. 633/41. Colui che mette in condivisione opere protette occorre, invece, distinguere tra chi lo fa a fini di lucro e chi lo fa per profitto Nel primo caso, si ricade nelle ipotesi dell’art. 171-ter, comma 2, lett. a-bis) l. 633/41; con sanzioni molti pesanti. Chi condivide senza una contropartita economica rimane soggetto ad una sanzione penale che è quella dell’art. 171, comma 1, lett. a-bis)».
Il dibattito circa l’opportunità di certe misure e circa la bontà dell’istituto del Digital Right Management rimane aperto. Cade invece in poche ore l’idea per cui improvvisamente tutto viene scompaginato da una sentenza: lo scambio di materiale protetto rimane illegale e la legge italiana continua a punire pesantemente chi se ne rende responsabile. La precisazione si rende, visti i fatti delle ultime ore, necessaria.