Si era capito presto: l’intervento di Jobs in tema Digital Right Management nasceva da una impellente necessità di allontanare Apple dalle responsabilità in merito. Jobs ha dunque usato la sua abilità oratoria per liberarsi del peso relativo girando ogni addebito alle case discografiche. Arriva oggi dalla FIMI, però, una risposta netta che rivolta la situazione a poche ore di distanza: le case discografiche curano ovviamente i propri interessi, ma chi fa uso del DRM è andato oltre le semplici richieste praticate a monte.
Le parole di Enzo Mazza, presidente FIMI, sono state raccolte da un’intervista di Gabriele De Palma per Vision Blog. Testualmente: «Steve Jobs omette il fatto che le case discografiche non hanno mai chiesto che i Drm fossero chiusi […] Anzi, noi abbiamo più volte esplicitamente richiesto che i Drm fossero interoperabili, e quindi che venissero rese pubbliche le specifiche tecniche per permettere a tutti di abilitare i loro lettori musicali al formato Apple o Microsoft […] Alle case discografiche i Drm servono esclusivamente come strumento per la gestione dei diritti d’autore, per sapere quante copie vengono vendute e come ripagare gli autori. Il fatto che i Drm implementati nei negozi online non siano interoperabili è un danno per l’industria musicale, limita la circolazione di opere dell’ingegno che vengono vincolate al player di riferimento dello store musicale».
La FIMI restituisce a Jobs la stessa patata bollente inviata da Cupertino poche ore prima. Tutti hanno interesse nel fatto che il sistema sia sotto controllo (la circolazione libera dei file non apporterebbe vantaggio economico né alla produzione, né alla distribuzione), ma al tempo stesso nessuno si assume le responsabilità derivanti dai vincoli imposti dai sistemi di Digital Right Management. Le parole di Enzo Mazza, però, giungono a colpire il punto debole del discorso di Jobs svuotandolo in gran parte del suo contenuto valoriale: le case discografiche sarebbero ben liete di vedere i file riprodotti su qualsiasi player (elemento indubbiamente vantaggioso), ma è qualcun’altro a non voler aprire i sistemi per motivi di diversa natura. Jobs in primis ne ha spiegate le ragioni, adducendo alla necessità di mantenere il “segreto” attorno a FairPlay i motivi della chiusura fin qui perpetrata da Apple.