Chris Pirillo è uno che di e-mail se ne intende. Con Lockergnome
non ha creato solo un’eccellente risorsa informativa, ma un vero modello per
la distribuzione di contenuti online. Quando SoBig
non aveva ancora fatto sfraceli, il buon Chris aveva già levato
il suo grido di dolore. La diffusione di una newsletter, a suo parere, starebbe
diventando una sorta di incubo. La pubblichi, ma non sai a quanti dei tuoi sottoscrittori
arriverà. Molti di quelli a cui non arriverà te ne chiederanno
la ragione e tu dovrai spiegare che da qualche parte, un software o un ISP,
hanno bloccato la mail scambiandola per spam. E allora dovrai andare da quell’ISP
e spiegargli che no, quello non è spam, che l’utente ha chiesto espressamente
di riceverla quella newsletter. E se a bloccare tutto è un antispam sul
lato client, dovrai invece istruire il tuo lettore su come far passare il suo
agognato bollettino di informazione.
L’esperienza di Pirillo è solo una delle tante. E rivela un paradosso:
sommersi da tonnellate di posta spazzatura, stiamo adottando sistemi che filtrano,
spesso, anche la posta ‘buona’. E’ difficile fare conti precisi, ma proprio
in questi giorni di fuoco per l’e-mail è stata reso noto un rapporto
(PDF) di Return
Path che stima nel 17% la percentuale di legittimi messaggi opt-in cancellati
dai software anti-spam dei principali ISP americani. Tanto. Forse troppo per
non pensare a strategie alternative in grado di soddisfare utenti e fornitori
di contenuti, anche commerciali, che agiscono in maniera limpida.
Queste le spine di chi l’e-mail la usa per distribuire informazione. Se volgiamo
lo sguardo al versante della comunicazione interpersonale, il panorama è ancora più cupo. La percentuale di spam nella posta che riceviamo
ogni giorno si avvicina in certi momenti al 100%. I disastri di SoBig, con caselle
intasate da migliaia di messaggi spazzatura e praticamente inutilizzabili, sono
sotto gli occhi di tutti.
L’ennesimo mass-mailer worm non ha rivelato solo e
ancora una volta le debolezze di Microsoft, ma quelle di un enorme network
troppo spesso sull’orlo del collasso. Da anni gli utenti più avvertiti
sanno che un allegato proveniente da fonti non sicure non va aperto. Eppure
ci ritroviamo, nell’agosto del 2003, di fronte al virus più infettivo
di sempre. Significa semplicemente una cosa: una parte preponderante di fruitori
della Rete non ha una sufficiente consapevolezza in tema di sicurezza informatica,
non è ‘educata’.
Basteranno idee come quella avanzata da Business
Week a salvarci dal prossimo worm? L’autorevole settimanale americano ha
lanciato una sorta di sfida agli ISP: si facciano promotori di una campagna
di alfabetizzazione sulla sicurezza, distribuiscano firewall e anti-virus,
insegnino a tutti come si usano.
Sarebbe già qualcosa. Perché un fatto sembra chiaro e assodato.
Chi usa l’e-mail per seminare il caos sulla Rete sa che quella categoria di
utenti è l’anello debole della catena. In un articolo apparso sul New
York Times del 19 agosto si riportano le opinioni su SoBig di diversi esperti
in sicurezza informatica. Alcuni di essi avanzano l’ipotesi che dietro al virus
si nasconda una strategia precisa, spinta da interessi economici: costruire
una vera e propria infrastruttura per seminare spam nei computer di mezzo mondo
superando le barriere rappresentate dalle blacklist dei vari ISP. La base di
questa infrastruttura dovrebbe essere fatta dalle migliaia di PC infettati che
in quanto tali sarebbero come una sorta di rampa di lancio per nuovi e continui
attacchi. Staremo a vedere.
Se questo è il contesto, ha forse torto Dan Gillmor quando intitola
“The
end of e-mail?” un post sul suo weblog? L’analista tecnologico di SiliconValley.com
immagina un futuro fatto di sistemi di comunicazione personale in grado di “complicare
la vita a spammers e vandali”. Prima però c’è qualcuno da
inchiodare alle sue responsabilità di fronte ai danni economici prodotti
da questi eventi. Si trova a Redmond. Si chiama Microsoft. E forse ha qualche
amico di troppo a Washington.