La musica non paga

Ad un anno dalla sentenza Napster, le case discografiche non sono ancora riuscite a trarre profitti dalla musica online. E intanto, i numerosi nuovi siti di file sharing godono di ottima salute
La musica non paga
Ad un anno dalla sentenza Napster, le case discografiche non sono ancora riuscite a trarre profitti dalla musica online. E intanto, i numerosi nuovi siti di file sharing godono di ottima salute

Con la sentenza di un anno fa che dichiarava Napster fuorilegge, sembrava che la musicadigitale scambiata gratuitamente su Internet fosse irrimediabilmentecondannata. Le case discografiche cominciarono ad allearsi per fornire servizionline a pagamento e lo stesso sito di Shawn Fanning iniziò a testare unaversione per soli abbonati. A dodici mesi di distanza, la situazione appareperò del tutto diversa.

Secondo una ricerca di OC&CStrategy Consultants, i risultati dei servizi per la musica a pagamento nelcorso del 2001 sono stati assolutamente deludenti per le case discografiche. Lemajor sono riuscite ad incassare in un anno “appena” 1 milione di dollari(circa 1 milione e 140 mila euro); una cifra ragguardevole, certo, mainsoddisfacente se paragonata ai 4 miliardi e mezzo di euro spesi dalle casediscografiche per prepararsi all’appuntamento con la vendita di musica online.

Le major si erano lanciate in grande stile nell’impresa, conalleanze e investimenti tecnologici degni di miglior causa. Dapprima eranostate , AOL Time Warner, Bertelsmann, EMI e RealNetworks a raggiungere unaccordo per dare vita ad un nuovo servizio battezzato MusicNet. A breve distanza, Vivendi Universal e Sony Music Entertainmentavevano risposto con Duet, in seguito ribatezzato PressPlay, un servizio che si sarebbeavvalso dell’alleanza con Yahoo!. Un taledispiegamento di forze aveva messo in allerta il commissario alla concorrenzadell’Unione Europea, Mario Monti, che paventava la nascita di unduopolio.

Questi timori si sono però scontrati con la tiepida reazione degli utenti, che si sono mostrati poco propensi a pagare per quello che possono avere facilmente gratis. A poco è valso l’impiego massiccio da parte delle major di pezzi pregiati dell’argenteria familiare. Già ad ottobre, una ricerca di IDC mostrava come soltanto il 23% di utenti dei vari servizi P2P fosse disposto a pagare per la musica digitale.

Mentre gli abbonamenti non decollano, l’esercito di utenti dei vari Morpheus o Audiogalaxy ha raggiunto quota 2 milioni 700 mila al giorno. Sempre secondo OC&G, nel 2001 sono stati oltre 8 miliardi i file .MP3 scaricati in questo modo. Una cifra di tutto rispetto che, con ogni probabilità, ha avuto una parte di responsabilità nella flessione delle vendite dei CD. Lo scorso anno, secondo alcuni analisti, la quota di mercato sottratta da Internet alle case discografiche è stata del 5 percento, una percentuale destinata a raddoppiare quest’anno.

Tra tutte le major,quella che patisce maggiormente questa situazione sembra essere EMI. Vista la sua difficile situazione economica, il gruppo starebbe ventilando l’idea di chiudere la EMI Records, della cui scuderia fanno parte tra gli altri Robbie Williams e Geri Halliwell. Secondo quanto riferito dal quotidiano britannico The Guardian, in tal caso tutti gli artisti verrebbero trasferiti alle altre controllate del gruppo: la Capitol o la Virgin

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