Le case discografiche e le aziende che si occupano di distribuire e vendere contenuti multimediali audio, da sempre danno la colpa del calo delle vendite dei CD musicali all’influenza del P2P, che da qualche tempo, a causa del costo a volte anche molto alto degli album, viene sfruttato per scaricare illegalmente i brani.
Giorni fa nuovi dati, giunti in Gran Bretagna come risultati di alcuni studi effettuati dall’industria del copyright e ripresi immediatamente dalla stampa e dalle televisioni nazionali, hanno fatto insospettire un giornalista del Guardian, Charles Arthur, che ha preferito effettuare personalmente delle indagini sull’argomento.
Ne emerge un quadro abbastanza inquietante, testimoniato chiaramente dal grafico allegato. Il calo delle vendite di CD audio, dal 1999 al 2008, è direttamente proporzionale all’aumento delle vendite dei prodotti per l’intrattenimento digitale.
Questo significa che le strategie commerciali dei realizzatori di videogame (che sono uno dei prodotti che unisce audio e video per il divertimento degli utenti) funzionano meglio di quelle adottate dalle aziende discografiche.
Secondo Charles, gli utenti che acquistano prodotti di questo tipo (anche chi scarica abitualmente brani musicali) possiedono un budget di denaro limitato, che scelgono di spendere in base a certe priorità personali. È ovvio che tra un videogame che costa £40 e un CD musicale che ne costa 10 (contenente magari solo poche tracce audio note), l’acquirente preferisce acquistare il gioco.
Avrà in questo modo un prodotto che gli permetterà di divertirsi maggiormente. Ecco quindi, secondo Charles, i veri motivi delle perdite delle case discografiche, che dovrebbero, secondo il giornalista, prendere atto dei veri motivi che maggiormente mettono in crisi il lavoro degli artisti, magari adottando delle strategie commerciali più flessibili per il bene di tutti.