La policy unificata introdotta da Google lo scorso anno non sembra piacere nemmeno in Olanda. Secondo la Data Protection Authority del paese, il motore di ricerca non avrebbe alcun fondamento legale per portare avanti un’attività di questo tipo, tracciando gli utenti tramite cookie e salvando informazioni in merito ai loro comportamenti online. La presa di posizione arriva al termine di un’indagine durata sette mesi.
Il mettere insieme informazioni di servizi Google e siti Web di terze parti con l’obiettivo di mostrare inserzioni pubblicitarie personalizzate, servizi personalizzati, sviluppare nuovi prodotti e analizzare le abitudini degli utenti, rappresenta un’intrusione significativa nella privacy di chi è coinvolto. Alcuni di questi dati sono sensibili, come le informazioni di pagamento, la posizione geografica e la navigazione sui siti Web.
I vertici della DPA hanno chiesto a Google di presenziare ad un incontro in cui discutere della questione, per fare chiarezza e decidere eventualmente se procedere per vie legali, senza escludere l’ipotesi di sanzioni. Secondo quanto riportato sulle pagine di Reuters, il gruppo di Mountain View avrebbe risposto dichiarando che gli utenti sono informati in modo adeguato sulle modalità di salvataggio ed elaborazione dei loro dati, sostenendo che la policy non viola in alcun modo le normative vigenti.
La nostra policy relativa alla privacy rispetta la legge europea e ci ha permesso di creare servizi più semplici ed efficaci. Ci siamo confrontati con la DPA olandese lungo tutto il processo e continueremo a farlo.
Il tema è già stato trattato più volte in passato. La modifica della policy imposta unilateralmente a tutti gli utenti ha portato sei paesi europei ad avviare altrettante indagini, per fare chiarezza su eventuali irregolarità nell’operato di bigG. In Francia, ad esempio, si sta valutando la possibile applicazione di un’ammenda da un massimo di 300.000 euro. La questione si è fatta ancora più spinosa negli ultimi mesi, in seguito alle rivelazioni dell’ex tecnico CIA Edward Snowden, che ha parlato senza troppi giri di parole di come l’intelligence americana possa accedere in qualunque momento a tutte le informazioni relative ai servizi cloud ospitate da server statunitensi.