La Polizia del Regno Unito ha arrestato cinque persone sospettate di appartenere al gruppo noto come Anonymous che, secondo le autorità e gli specialisti di sicurezza informatica, è responsabile dei numerosi attacchi contro i siti web delle aziende che hanno sospeso il servizio di pagamento delle donazioni a favore di Wikileaks. I cinque “anonimi” rischiano ora fino a 10 anni di prigione e 5.000 sterline di multa.
Gli arresti sono stati effettuati nella mattinata di ieri dall’unità e-Crime della Metropolitan Police con un’azione congiunta in diverse zone del Regno Unito (West Midlands, Northhamptonshire, Hertfordshire, Surrey e Londra). I cinque sospettati hanno un’età compresa tra i 15 e i 26 anni e la Polizia è giunta al loro arresto dopo un’attività di investigazione svolta in collaborazione con le agenzie internazionali di Europa e Stati Uniti.
Dopo la pubblicazione dei famosi cablogrammi contenenti informazioni riservate, MasterCard, Visa e PayPal avevano bloccato tutte le donazioni degli utenti, unica fonte di guadagno per Wikileaks. Il gruppo Anonymous ha quindi iniziato una serie di attacchi DDoS (Distributed Denial of Service) con lo scopo di rendere inaccessibili i siti di molte compagnie contrarie alla pubblicazione di documenti scottanti o siti di banche, come la Bank of America, accusata di aver compiuto azioni scorrette durante la crisi finanziaria degli ultimi due anni.
Il gruppo Anonymous è anche noto per aver attaccato in passato i siti web legati alla Chiesa di Scientology. Gli attacchi DDoS erano aumentati di numero in concomitanza dell’arresto del fondatore di Wikileaks Julian Assange, avvenuto a Londra all’inizio di dicembre 2010. Per sovraccaricare i server, l’organizzazione di hacker aveva utilizzato un tool denominato Low Orbit Ion Cannon (LOIC) che semplifica l’esecuzione degli attachi agli utenti meno esperti, ma consente di tracciare più facilmente il traffico su Internet.
È probabile quindi che i cinque ragazzi arrestati siano stati scoperti dagli investigatori con l’aiuto degli ISP (Internet Service Provider), i quali potrebbero aver fornito agli inquirenti gli indirizzi IP da cui sono partiti gli attachi informatici.