La Polizia Postale italiana potrà d’ora in poi accedere ai contenuti su Facebook grazie ad un accordo siglato con il social network di Mark Zuckerberg. A parlarne è Giorgio Florian per L’Espresso: « I dirigenti della Polizia postale due settimane fa si sono recati a Palo Alto, in California, e hanno strappato, primi in Europa, un patto di collaborazione che prevede la possibilità di attivare una serie infinita di controlli sulle pagine del social network senza dover presentare una richiesta della magistratura e attendere i tempi necessari per una rogatoria internazionale».
Il senso dell’operazione è nella necessità di rendere quanto più rapidi possibile le procedure di indagine, consentendo così alla Polizia Postale di intervenire immediatamente dopo le segnalazioni per procedere con eventuali controlli, censure o semplici verifiche da allegare ad eventuali atti processuali: «Una corsia preferenziale, insomma, che potranno percorrere i detective digitali italiani impegnati soprattutto nella lotta alla pedopornografia, al phishing e alle truffe telematiche, ma anche per evitare inconvenienti ai personaggi pubblici i cui profili vengono creati a loro insaputa». Ma tutto ciò ha anche un risvolto della medaglia destinato a far discutere: «In concreto, i 400 agenti della Direzione investigativa della Polizia postale e delle comunicazioni potranno sbirciare e registrare i quasi 17 milioni di profili italiani di Facebook».
Da tempo Facebook è nell’occhio del ciclone per svariati fatti di cronaca che, spesso in modo sgangherato, sono stati attribuiti proprio a Facebook ed alla sua piattaforma di comunicazione sociale. Dal caso Tartaglia alle “brigate Facebook“, fino alle minacce al ministro Gelmini, il social network è stato più volte additato come un’incubatrice di pericoli e violenza. La novità preannunciata da L’Espresso cambia però ora le carte in tavola perchè quelle che potevano sembrare discussioni simil-private tra gruppi di persone diventano ora dialoghi “intercettabili” dalle autorità senza alcuna previa segnalazione alla magistratura.
Il modo in cui sarà sfruttata questa opportunità determinerà l’esatto posizionamento del filo sottile che divide la garanzia dall’invadenza della privacy. Controllare Facebook, infatti, significa per le autorità consentire anche controlli approfonditi all’interno di gruppi ben identificabili e potenzialmente pericolosi; significa ricostruire conoscenze e trame comunicative; significa consentire la repressione del cyberbullismo; significa poter chiudere account che si macchiano di reati o eliminare messaggi potenzialmente lesivi dell’onore altrui.
In ognuno di questi casi andranno però stabilite modalità e regole precise che consentano l’identificazione di un equilibrio accettabile tra libertà e controllo.
Ancora da L’Espresso, le prime parole del senatore Vincenzo Vita sul caso: «Mi sembra incredibile. Ma vero? Stiamo smarrendo progressivamente in Italia Il senso dei limiti disegnati dallo Stato di diritto. Nessuno mette in discussione il pieno rispetto della legalità, ma qui siamo in una zona grigia. E di notte tutti i gatti sono neri… Le procedure di eventuale infiltrazione nei social network devono prevedere l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, nel caso di chiare ipotesi di reato. La legislazione sulla privacy è una cosa seria. Altrimenti Orwell diventa un dilettante. Altro che grande fratello». E prosegue suggerendo anche in Italia una “bill of right”: una strana coincidenza, forse, nelle stesse ore in cui anche nel Regno Unito scaturisce medesima proposta come espressione dei medesimi principi.
Update
«Figuriamoci se la Polizia si mette a spiare i navigatori di Facebook»: così il direttore centrale della Polizia Postale Antonio Apruzzese ha smentito lo “scoop” de L’Espresso.