C’è un nuovo caso legale coinvolgente la RIAA che sta salendo alla ribalta della cronaca per il modo in cui mette in evidenza la fragilità delle strategie dell’associazione fonografica e per come possa fungere in futuro da precedente penale. Nella causa contro Yuri Shutovski, infatti, la RIAA ha fatto esplicita richiesta e ha ottenuto di indagare su tutte le persone che hanno avuto accesso al computer dell’accusato nei passati tre anni, ma tutto ciò perchè l’accusa venga circostanziata e non si limiti all’indicazione dello strumento usato.
La storia è sempre la medesima: la RIAA scova attraverso Media Sentry (la società concessionaria che si occupa operativamente delle investigazioni per conto dell’associazione degli editori fonografici) un’infrazione alle norme del copyright e quindi fa richiesta al provider di connessione attraverso il quale sono passati i dati di sapere verso quale indirizzo IP erano destinati e a chi faccia capo a quell’abbonamento. Una volta ottenute le informazioni di cui ha bisogno, parte la causa per violazione del copyright. Ma il problema nel caso specifico della causa contro Shutovski è che l’accusato è in grado di produrre prove che testimoniano come in quel momento non fosse negli Stati Uniti: non era quindi l’accusato a connettersi.
Benchè la linea ufficiale di accusa della RIAA sia quella per cui ad ogni modo Shutovski, in quanto titolare dell’abbonamento, rimanga il responsabile dell’uso che viene fatto della sua connessione, il giudice incaricato di seguire la causa ha decretato che occorre innanzitutto capire chi fosse al computer in quel momento. Dati i presupposti ha allora autorizzato il sequestro a fini investigativi del computer in questione e dei dischi rigidi di proprietà di Shutovski per poter raccogliere quante più informazioni è possibile sui diversi utilizzatori.