La ribellione delle vacche col cellulare

La ribellione delle vacche col cellulare

Giudicate da un punto di vista industriale, e con la massima serenità, le grandi telco italiane mi appaiono, nel complesso, qualcosa di molto simile a una forma di vita economica parassitaria.

Dall’avvento di sua maestà il telefonino, questi gruppi stanno realizzando profitti stratosferici senza, sostanzialmente, alzare un dito. Decine di milioni di italiani se ne stanno attaccati al cellulare da mattina a sera come placide vacche ruminanti al pascolo. Nel senso, come tali sono visti dalle grandi telco di questo paese: grasse vacche che aspettano solo di essere munte a dovere.

Una marea montante di denaro che, messa in mano a una qualsiasi compagnia animata da un minimo di passione e competenza industriale, sarebbe fonte di ammodernamenti infrastrutturali, sviluppo tecnologico, progetti di ricerca, laboratori di eccellenza, interazioni virtuose con le università e con i centri di produzione del sapere, borse di studio a pioggia eccetera eccetera. Ok, siamo in Italia, e questa è fantascienza.

Allora, più realisticamente: un fiume di denaro che dovrebbe produrre aziende solide, professionali, con lavoratori competenti, motivati e ben pagati, e offerte commerciali (e relativa comunicazione) altrettanto solide e trasparenti. Il business della telefonia mobile è, in Italia, talmente sicuro e così spaventosamente fruttuoso, che non sussiste alcun motivo – se non una miope rapacità e una desolante mancanza di cultura industriale – per comportarsi come l’ultimo piazzista in cerca di gonzi da abbindolare.

E invece.

I soldi, oltreché in prevedibili quanto succosi dividendi (e in investimenti di tipo finanziario anziché industriale), se ne finiscono in campagne pubblicitarie televisive tanto massicce quanto dementi. Considerate che un singolo passaggio di uno spot da 30 secondi su Rai o Mediaset costa dalle svariate decine di migliaia di euro (orari e programmi tapini) ai milioni di euro (grossi eventi in prime-time). Bene, provate a far mente locale e a pensare quanti spot di TIM, Vodafone, Wind e compagnia bella passano in un giorno su un singolo canale. Moltiplicate questo numero alluvionale per i sei canali Mediaset-Rai. E moltiplicate ancora per 365: in un anno le telco investono in dementi spot tv cifre quasi inimmaginabili.

Dall’altro lato migliaia di giovani laureati flessibilizzati a 90° dalla legge Maroni e conseguentemente sottopagati messi ai call centre a dar prova di svogliatezza (sacrosanta) e incompetenza, una fenomenologia del disservizio quasi barocca, help desk a pagamento (no, dico, se ci pensate questa è enorme), e tutto quell’ambaradan odiosissimo di apparati informativi e di assistenza che tutti noi conosciamo benissimo.

E poi, infine, eccoci al core business, il vertice, la punta di diamante, il punctum verso cui convergono tutte le intelligenze e le energie aziendali: lo studio a ciclo continuo e infaticabile di offerte commerciali deliranti e cervellotiche, stracolme di variabili, clausole ed eccezioni, impossibili da confrontare le une con le altre, letteralmente illeggibili. Offerte certo disegnate sulla base di indagini di mercato e di statistiche dei comportamenti di consumo degli utenti, e con assoluta evidenza mirate a confonderli per meglio sfruttare i punti deboli di tali comportamenti.

Il risultato comunicativo del tutto è schizofrenico, e piuttosto esilarante. Da un lato abbiamo un piano bovino di comunicazione, cioè quello degli spot e dei banner coi GRATIS, A COSTO ZERO, OVUNQUE, CHIUNQUE, PER SEMPRE cubitali ed esclamativi che conosciamo benissimo, e che sono l’ingrediente base delle campagne pubblicitarie delle telco.

Da questo piano bovino ma luccicante, si salta direttamente, senza alcuna tappa intermedia, a un plesso di informazioni commerciali e contrattuali kafkiano, atomizzato, disseminato un po’ qui e un po’ là, fatto di clausole minuscole, di eccezioni, di avvertenze, di pdf chilometrici, di penali misteriose, di link quasi invisibili. L’utente, come un detective, deve navigare pagine e pagine di siti che rappresentano la morte premeditata dell’architettura dell’informazione, e raccogliere i tasselli e gli indizi per ricomporre un quadro coerente e completo dell’offerta. Una volta fatto ciò, ammesso che ci riesca, dovrà ricorrere a un matematico che lo aiuti a sviluppare un algoritmo che, tenendo conto di tutte le variabili in gioco, gli permetta di avere un quadro economico dell’offerta che sia un minimo interoperabile e confrontabile coi quadri economici delle altre offerte.

Se questo è il panorama, non è poi così stupefacente il notevole clamore suscitato nella blogosfera dalla piccola, improvvisata ed indignata indagine sull’offerta Skypephone di 3 (successivamente precisata da un ulteriore post più cauto e informativo) di un blogger non da hit parade che si chiama Francesco Minciotti. Anzi, testimonia un fatto perfettamente comprensibile: a giro è pieno di gente che non ne può più di vedersi trattata da cretina. Il maldipancia dell’utenza cova diffuso ed è pronto ad esplodere.

Reazione scomposta, irrazionale, pecoronesca, hanno chiosato alcuni commentatori allergici ai clamori, o sensibili alle ragioni delle aziende. Forse è vero, in parte. Ma io questa parte la definirei una sorta di scatto alla risposta: un analogo perfetto, un contrappasso, di una certa idea di utenza che le telco paiono avere. Vi ostinate a trattare i vostri clienti come buzzurri da gabellare? Non stupitevi allora, vi prego, di torce e forconi: glieli avete messi in mano voi.

Il clamore suscitato dal post di Minciotti – ripreso un po’ da tutti, da Quintarelli a Sofri, da Fasce a Pasteris, da Martines a Mattina, solo per linkbackarne alcuni – oltre a rappresentare un esempio virtuoso perché selvaggio e incontrollabile di buzz, rappresenta anche una bella occasione di redenzione per le telco (per tutte, non solo per la 3: è tutto sommato abbastanza casuale che nell’occhio del ciclone ci sia finita lei). Le quali hanno la possibilità di rispondere alle reazioni irate e distruttive dei blogger, tipiche di chi ha subito in silenzio per anni, ristrutturando le proprie strategie comunicative: chiarezza assoluta, quadri riassuntivi e razionali di tutte le principali caratteristiche dell’offerta (tempi, costi, penali, rescissioni contrattuali etc), contratti completi scaricabili in bella evidenza, apertura di canali di comunicazione efficienti e gratuiti con gli utenti etc. E, ma forse è chiedere troppo, l’offerta di piani tariffari che non assomiglino più alle proposte d’affari del Gatto e la Volpe.

(A chi mi facesse notare che i blogger in sé e per sé non contano una cippa, risponderei che, ok, è vero. Ma è anche vero che attualmente, se cerchi Skypephone su Google, tra i primissimi risultati c’è il linkatissimo post di Minciotti: e questo, direi, conta).

L’altra via è querelare i blogger incazzati, o più semplicemente far finta di nulla, e continuare a produrre costosissime campagne di spot all’insegna della più cristallina cretineria, e offerte commerciali, con relative informazioni, cervellotiche e fumose che assomigliano più a trabocchetti che ad offerte di servizi (magari ricordandosi, la prossima volta, di distribuire per tempo un po’ di cellulari nella blogosfera per provare a tenersela buona).

Bene, mettiamoci comodi e vediamo cosa succede.

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