Se ne sentiva il bisogno? No, certo, quando mai. Ma nemmeno di Gmail se ne sentiva il bisogno. Eppure Gmail è arrivato, ha silentemente cambiato le regole del gioco e si è impossessato di una forte fetta di mercato ai danni dei big del settore. Con uno sforzo di memoria forse nemmeno Google stesso sembrò ai tempi così necessario, anche se con il senno del poi sembra quasi un paradosso dirlo oggi. Con Google Talk non è successo: il software, semplicemente, non aveva portato nessuna rivoluzione essenziale sul mercato e Google è rimasto a guardare Skype, Messenger e compagnia bella tenersi il proprio pubblico per lasciare al nuovo arrivato solo le briciole. Lungi dal dipendere dal nome, il giudizio su Chrome dovrà dunque limitarsi alla bontà o meno del browser. Ed anche questo non sarà facile, perchè Chrome non è un browser come gli altri. Poche ore, quantomeno, son bastate per averne un impatto simpatico, positivo, quell’impatto a cui Google ci ha abituati per tanto tempo. Sì, pollice alto, Chrome è subito piaciuto.
Le novità sono molte ed essenziali. Fanno del browser Google davvero una alternativa valida. Questo perchè il browser ha una ambizione: fare poche cose, ma molto molto bene. La ricchezza dei browser “concorrenti” è lasciata da parte: Google intende prendere una strada tutta sua, ed in questo modo probabilmente si libererà spazi di mercato nuovi infilandosi tra i grandi del settore. IE e FF sono avvisati: c’è GG che arriva.
L’annuncio ha avuto l’effetto a sorpresa desiderato. Del browser si sono occupati in molti (si sono peraltro lette alcune frasi quantomeno divertenti dettate dalla fretta di parlare, in qualche modo, della novità del momento) e solo in serata Google è giunto a mettere online l’installer. Non sono mancati i facili entusiasmi ed i titoli ad effetto, con un software che è stato definito rivoluzionario prima ancora di essere uscito dall’uovo. E la chiave di lettura comune, tanto logica quanto superficiale, è stata quasi sempre la stessa: Google ha sfidato Microsoft puntando dritto al cuore di Redmond. Le promesse, comunque, erano già state tutte illustrate nel fumetto rilasciato in precedenza (abile strategia per costringere l’utenza a vedere le mirabolanti promesse di Chrome). E poi subito i commenti, con Microsoft che dà il suo benvenuto al browser confidando nelle bontà di IE8 e Mozilla che fa spazio confidando nella potenza di Firefox 3.
Un gran parlare, insomma. Poi la conferenza, il download e l’installazione: ladies and gentlemen, ecco a voi Google Chrome.
Mantenere un filo di scetticismo è cosa saggia e dovuta. Se non altro perchè Chrome è un progetto in beta release che davanti a sé non solo ha tanto sviluppo, ma anche tanti esami ancora da affrontare. La stabilità andrà verificata sul campo, andrà commisurata alle qualità generali, ma andrà anche interpretata alla luce della sicurezza e delle eventuali vulnerabilità. Il giudizio, dunque, si fermi ora semplicemente alle qualità mostrate, in attesa che la “luna di miele” finisca e inizi la vita vera del browser, quella da milioni di download, quella degli exploit zero-day (una vulnerabilità è stata scoperta già a poche ore dal lancio) e quella degli standard con cui scendere a compromessi.
Il browser, probabilmente, va però interpretato soprattutto come un semplice tassello di qualcosa di molto più ampio. Google, insomma, forse non intende realmente sconfiggere le armate maligne dei big del settore, ma piuttosto intende investire in una direzione che per gli altri non rappresenta una reale priorità. Google, insomma, probabilmente con Chrome intende portare un altro tassello in quel puzzle che vuole le classiche applicazioni desktop (office, messenger, media player) girare da remoto, tramite una semplice finestra del browser. Microsoft è il re del software, dunque l’interesse è minimo; Firefox ha interesse a svilupparsi secondo quel che chiede l’utenza, dunque la ricerca di una rivoluzione di questo tipo non è urgente. Google, invece, ha obiettivi diversi: vuole imporre una regola nuova, vuole estendere il proprio dominio anche al mondo dei servizi, vede nel Software-as-a-Service il mantra da seguire per tornare ad essere il gruppo mangia-tutto di qualche mese fa.
Perchè quando già sei il numero uno, hai solo un modo per crescere ancora: allargarti. Chrome è tutto ciò. Arrivare sul desktop degli utenti significherebbe poter favorire i propri servizi con la nuova gestione dei crash (una pagina in scrittura è ben diversa da una pagina in lettura, e l’interazione auspicata da Google impone maggiore attenzione a questo tipo di problemi), una nuova gestione della memoria (molte e ricche applicazioni da gestire in contemporanea), una nuova teoria delle interfacce (non più finestre del browser, ma fogli sul desktop da lanciare come se fossero il più classico dei software installati nel sistema). Cambia tutto, ma non perchè si intende semplicemente stravolgere un mercato: c’è un’idea nuova da imporre, e Google Chrome è un passaggio obbligatorio.
John Lilly, CEO Mozilla, non ne fa infatti un dramma: in Mozilla se lo aspettavano e gli accordi pubblicitari tra le parti nulla hanno a che vedere con quel che sta succedendo. Per Google, insomma, un impegno in questa direzione è cosa dovuta alla luce dell’impegno totale che il gruppo ha infuso nella propria crescita sul web.
La natura open source del browser trova piena e totale motivazione nell’approccio di Google al problema: per il gruppo non è importante imporre un browser (quantomeno non secondo la definizione tradizionale dello stesso), ma piuttosto una corrente di pensiero. Chiunque collaborerà alla crescita di Chrome avrà dato un indiretto contributo alla battaglia di Google, ed è questo che Mountain View vuole: imporre una direzione, insufflare un vento nuovo, guidare lo sviluppo portando il web dove Google lo sta aspettando: sul campo delle applicazioni online. Se Chrome avrà successo ed il nuovo clima diventerà parte integrante della domanda degli utenti, allora Internet Explorer e Firefox dovranno in qualche modo adattarsi, portando a loro volta ulteriore acqua al mulino di Google.
Chrome è un’uscita strategica. Non è con Chrome che Google intende guadagnare, ma è con Chrome che Google intende creare quel substrato tecnologico su cui far crescere i servizi che Google intende proporre a privati ed aziende. La direzione sembra ormai tracciata: perchè Mozilla ha da tempo in laboratorio il proprio Prism, perchè Microsoft ha in Ray Ozzie lo stratega del Software-plus-Service da contrapporre al SaaS made in Mountain View.
Si può chiudere con un paradosso: Chrome non è l’anti Internet Explorer, anzi. Chrome aiuterà Internet Explorer. Lo metterà alle corde, ma non specificatamente per batterlo: solo per costringerlo a cambiare forma. Solo per pretendere maggiore attenzione relativamente ad alcune tendenze. Solo per scardinare il mondo nel quale ha dominato per anni incontrastato. Firefox cavalcherà la battaglia cercando invece sì di battere Internet Explorer, semplicemente offrendo all’utenza quel che di nuovo chiederà l’utenza stessa. Chrome no, Chrome non diventerà il numero uno dei browser: non è questo l’obiettivo. Sarà forse il Wii dei browser, questo sì: il concorrente piccolo e semplice, il concorrente a cui nessuno bada, il concorrente che però spopola in lungo e in largo.
Gli altri pedalano, Chrome guida. O almeno questo è quel che spera di fare Google. Ed a questo punto sì, a questo punto lo si potrà dire: Google ha sfidato Microsoft. Microsoft permettendo.