Il provvedimento di legge che aumenta pene e discrezionalità nella lotta contro i «contenuti pericolosi» di Internet è passato mercoledì alla Camera del Parlamento russo, 24 ore dopo che Wikipedia si era listato a lutto per protesta contro questo ennesimo tentativo di una nazione di censurare l’informazione della Rete. La nuova legge attribuisce alle autorità il potere di inserire determinati siti in una lista nera senza l’ordine di un tribunale, e per gli autori è previsto un processo con pena detentiva fino a cinque anni, reintrodotta dopo la depenalizzazione di Medvedev. La nuova era Putin, insomma, è cominciata.
In queste ore convulse del dopo voto – la legge potrebbe passare al Senato prima della fine dell’estate e ha bisogno di essere controfirmata dal Presidente entro novembre per entrare in vigore dal 1° gennaio 2013 – è impossibile sulle fonti internazionali dare una valutazione univoca delle conseguenze di questo disegno. Bloomberg, ad esempio, tende a dare importanza all’intervento in extremis sul testo che limita i poteri speciali solo ai siti che contengono materiale pedopornografico o promuovono droghe o suicidi.
Le fonti sono molte, diverse, e persino i fronti sono spaccati, tanto che qualcuno sussurra che il predecessore Dmitry Medvedev – grande appassionato di social network – sia contrario a questa legge, forse perché anche lui non può evitare di pensare a come Vladimir Putin, 59 anni, tornato al Kremlino a marzo dopo quattro anni come primo ministro, si trovi con proteste popolari di piazza inedite per il paese, organizzate spesso tramite i social network e persino il motore di ricerca nazionale, Yandex. In Russia, storicamente, le televisioni sono assoggettate al potere politico (nello slang locale sono chiamate “scatole zombie”) quindi la Rete è diventata ben presto l’habitat preferito di tutte le forme di opposizione e critica al governo.
Tutto sta a vedere se e quanto verrà esteso il concetto di «contenuto inappropriato»: non sarebbe la prima volta che dietro la lotta contro la pornografia si celasse l’intenzione di censurare la critica politica (un caso classico è il firewall cinese), come ha tuonato l’influente blogger Alexander Morozov, il quale, rievocando periodi bui della storia del suo paese, ha denunciato il tentativo di far scendere sulla Russia una «cortina elettronica»:
I governi hanno sempre sostenuto che queste leggi sono contro l’estremismo, la pornografia infantile, e così via, ma questo genere di legislazione finisce sempre per colpire l’opposizione e la libertà di espressione politica.
L’obiettivo di avere una Rete libera ma al contempo rispettosa dei diritti fondamentali delle persone è ovviamente sensato, ma resta da capire se saltare il passaggio di un tribunale è l’idea giusta per ottenere questo scopo. Sembra francamente arduo poterlo credere, mentre il sospetto che in Russia si sia data una base giuridica alla censura preventiva e alle misure repressive togliendo di mezzo le leggi ordinarie è purtroppo concreto e preoccupante.