Che le principali aziende del panorama high-tech statunitense fossero contrarie alla SOPA lo si avvertiva già da diverse settimane. A consacrare il secco “no” da parte dei nomi più altisonanti dell’industria tecnologica d’Oltreoceano è giunto tuttavia un comunicato ufficiale firmato da personalità di primo piano in tale settore, con il duplice obiettivo di ribadire ulteriormente la posizione contraria a tale proposta di legge e soprattutto evidenziarne le possibili conseguenze per l’intero mercato.
Attualmente in discussione presso il Congresso degli Stati Uniti d’America, lo “Stop Online Piracy Act” rappresenta l’arma che l’industria multimediale a stelle e strisce intende avere nelle proprie mani per combattere la pirateria in formato digitale. Qualora dovesse divenire legge, tale provvedimento consentirebbe alle label di richiedere immediatamente non solo la rimozione di specifici contenuti dal web ai fornitori di servizi quali motori di ricerca e hosting provider, ma anche dell’intero sito web coinvolto nella violazione. Il tutto, per giunta, senza che una qualche autorità possa esprimersi sul caso in maniera favorevole.
Aziende come Google, Twitter, Yahoo, PayPal, LinkedIn e tante altre ancora hanno dunque deciso di esprimere il proprio parere in merito, acquistando uno spazio pubblicitario su quotidiani di primo piano quali il New York Times ed il Washington Post. In una lettera aperta all’intero panorama politico statunitense i colossi della Silicon Valley evidenziano dunque come tale proposta di legge rappresenti un serio pericolo per la libertà nel web e per il progresso stesso: una simile censura online rappresenterebbe infatti un forte freno per numerose aziende, sul cui operato potrebbe improvvisamente piombare una qualche società pronta a bloccare immediatamente ogni attività della stessa sul web.
Nel mirino dell’industria statunitense non v’è solo la SOPA, bensì anche il PROTECT IP Act, attualmente in fase di discussione presso il Senato degli Stati Uniti. Entrambe le proposte, si legge nella lettera, rischiano di creare un clima simile a quello che caratterizza Paesi quali Cina, Malesia ed Iran, ove la censura digitale rappresenta oramai una realtà di fatto, minando la libertà dei cittadini sul web. Un web che si ribella alle nuove proposte di legge sin dalle sue fondamenta, partendo dalle aziende che forniscono quelli che sono i servizi online più cliccati al mondo per arrivare agli utenti che accedono ad Internet, coinvolti in maniera diretta in tale vicenda.