È scontro in Spagna tra maggioranza e opposizione su una proposta di legge sostenuta dal governo del primo ministro Mariano Rajoy. Al centro del dibattito ancora una volta la cosiddetta Google Tax, ovvero un obbligo per il gruppo di Mountain View (e per gli altri servizi online che svolgono lo stesso ruolo) di versare un compenso a chi genera i contenuti poi aggregati sul motore di ricerca.
In risposta bigG minaccia di chiudere la versione di Google News operante nel paese. Una mossa che porterebbe a ripercussioni dirette sul traffico generato verso tutti i portali d’informazione, andando di conseguenza a penalizzare quegli stessi editori che dovrebbero invece essere tutelati dall’imposta stessa. Il provvedimento ha già ottenuto l’approvazione al senato e in questi giorni è giunto alla camera per essere nuovamente votato. Chi è in disaccordo sostiene che la misura ha come unico obiettivo quello di difendere gli interessi dei grandi gruppi editoriali, senza tener conto delle esigenze manifestate dalle piccole realtà impegnate nell’ambito dell’informazione online.
La questione è già stata affrontata più volte in altri stati del vecchio continente, Italia compresa. Un aspetto importante della discussione verte sul fatto che il motore di ricerca ricava ogni anno miliardi di euro provenienti dalle inserzioni pubblicitarie visualizzate all’interno delle pagine che mostrano estratti di notizie prelevate da fonti esterne. Denaro che viene poi tassato all’estero, in territori come Irlanda, Lussemburgo e Olanda, dove le imposte sono minime o comunque di gran lunga inferiori.
In Germania le pressioni esercitate dall’organizzazione VG Media hanno portato di recente Google a scegliere di indicizzare parte delle notizie senza allegare immagini o snippet (un piccolo estratto dal testo), mostrando solamente il titolo con il relativo link verso l’articolo integrale. Del problema si discute ormai da anni, ma l’Europa ancora non si è pronunciata in merito indicando linee guida da seguire a livello continentale, lasciando che siano i singoli stati membri a gestirlo in modo autonomo.